Regia di Henri-Georges Clouzot vedi scheda film
A Las Piedras, villaggio dell'America latina economicamente e militarmente assoggettato alla compagnia petrolifera statunitense Southern Oil Company, fuggiaschi di ogni nazionalità sopravvivono nella miseria e nell'ozio forzato, vagheggiando un impossibile ritorno in patria. Finché un giorno, a causa di un incendio divampato in un pozzo a 500 km di distanza, la compagnia offre una ricompensa di 2000 dollari a chi riuscirà a trasportare un carico di nitroglicerina necessario a soffocare il fuoco con un'esplosione. In molti si presentano per ottenere l'incarico, ma solo quattro partono per la pericolosissima missione: il corso Mario (Yves Montand), il francese Jo (Charles Vanel), il tedesco Bimba (Peter van Eyck) e l'italiano Luigi (Folco Lulli). Per loro è questione di vita o di morte: nonostante l'estrema pericolosità del tragitto (500 km di strade dissestate con camion inadatti a trasportare esplosivi), la lauta ricompensa rappresenta il solo mezzo per fuggire dal carcere a cielo aperto di Las Piedras. Insieme a "Il corvo" (1943) e a "I diabolici" (1955), "Vite vendute" è senz'altro il più celebre (e celebrato: Palma d'oro a Cannes e Orso d'oro a Berlino) film di Henri-Georges Clouzot, ma, a mio avviso, non il suo capo d'opera, che rimane il torbido e morbosissimo "Legittima difesa" ("Quai des Orfèvres", 1947). In calibrato equilibrio tra studio d'ambiente e "survival road movie", "Le salaire de la peur" (oggetto di remake nel 1977 da parte del grande William Friedkin) è una pellicola nettamente divisa in due parti. Nella prima ad essere descritta minuziosamente è la vita del piccolo villaggio di Las Piedras, ricettacolo di fuggiaschi di ogni provenienza costretti a ciondolare in un bar gestito da un oste collerico e a vivere di espedienti. Tra gli sfaccendati avventori del "Corsario Negro" spicca immediatamente Mario (Montand), di origini corse ma parigino d'adozione, che ha una relazione con la bella cameriera Linda (Véra Clouzot, moglie del regista). In questa porzione di film, le notazioni ambientali (miseria, corruzione, indolenza) si intrecciano alle caratterizzazioni psicologiche, favorite dall'arrivo nel piccolo villaggio del signor Jo (Vanel), vecchio avventuriero costretto a riparare a Las Piedras per motivi tanto impellenti quanto imprecisati. Quello tra il signor Jo e Mario è un vero e proprio colpo di fulmine: quest'ultimo non si fa scrupolo a maltrattare l'amico bonaccione Luigi (Lulli), infaticabile lavoratore dal cuore d'oro ma dai polmoni pieni di cemento, e l'impulsiva Linda per ingraziarsi le simpatie del nuovo (e immediatamente odiatissimo) arrivato. Jo ricambia le attenzioni di Mario col minimo sindacale di gratitudine, limitandosi a offrirgli qualche bevuta e ad alimentare la sua nostalgia per la Pigalle perduta. La seconda parte, di gran lunga più tesa e vibrante della prima, è interamente occupata dal viaggio dei due camion carichi di nitroglicerina - uno guidato dalla coppia Jo/Mario, l'altro dal duo Bimba/Luigi - verso il pozzo in fiamme, tragitto costellato di prove progressivamente più difficili e pericolose da superare (la strada corrugata, la piattaforma sospesa, il macigno franato e il lago di petrolio). E' durante il lungo e accidentato percorso che, secondo il principio del pericolo come cartina di tornasole delle personalità, emergono con evidenza le autentiche psicologie dei personaggi: se Luigi e Bimba si rivelano entrambi leali e intraprendenti (qualità che tuttavia non bastano a metterli al riparo dalla fatalità), il rapporto tra Jo e Mario subisce un vero e proprio ribaltamento. La sfrontata spavalderia del primo si sgretola tappa dopo tappa, finendo per convertirsi in piagnucolosa codardia, mentre i timori iniziali del secondo si tramutano in temeraria irrefrenabilità, finendo per schiacciare letteralmente il rinunciatario compagno di viaggio. Nonostante la marcata bipartizione narrativa (descrizione statica nella prima parte e tensione dinamica nella seconda), un "macrotema" attraversa longitudinalmente il film, percorrendolo da una parte all'altra: il predominio economico e politico statunitense sulla realtà latinoamericana. La Southern Oil Company (SOC: le stesse iniziali della Standard Oil di John Rockfeller) sfrutta avidamente e spietatamente le risorse naturali e umane dei paesi poveri, approfittando delle condizioni di indigenza e arretratezza della popolazione per reclutare mano d'opera a prezzi stracciati e utilizzare la forza lavoro per incarichi pericolosi. Non a caso tutte le vittime dell'incendio al pozzo sono del luogo, tranne un solo operaio, che comunque è canadese. L'atteggiamento di O'Brien, il responsabile della SOC che deve gestire la situazione, è emblematico: si raccomanda di servire abbondanti razioni di cibo e liquori alla Commissione di Sicurezza che andrà a ispezionare il pozzo in fiamme e dare tutta la colpa alle vittime, tanto loro non approfondiranno. Discorso analogo per il trasporto della nitroglicerina: facendo leva sul disperato bisogno di denaro dei vagabondi di Las Piedras, O'Brien è certo che la sua offerta di lavoro, per quanto suicida, non verrà snobbata. Logica ricattatoria, se mai ve n'è stata una. Per questo spericolato ibrido tra affresco politico e "survival road movie" Clouzot che tipo di messa in scena adotta? Gioca in sordina, soprattutto nella prima parte, lascia che siano i luoghi e le esigenze narrative a scandire l'andamento della visione (panoramiche orizzontali nel villaggio a esplorare e illustrare l'ambiente, soggettive complici a isolare e definire le intese tra i personaggi). Poi, una volta ingranata la marcia, la sua regia si fa più nervosa, ansiogena, addirittura zigzagante nel finale, con forti oscillazioni della macchina da presa. Clouzot non è certo regista dalla mano leggera e il suo stile è sempre a un passo dal grottesco, eppure, specialmente nei frangenti più drammatici, sfodera una sicurezza che ha del prodigioso: i due montaggi alternati (il primo nella sequenza del tamponamento sventato sulla strada corrugata, il secondo nel finale a tempo di valzer) hanno una meccanica che sfiora la perfezione e la creazione della suspense nella sequenza del macigno che blocca la strada è ottenuta con gloriosa essenzialità. Girato in Provenza e costato un'enorme quantità di denaro a causa di condizioni meteorologiche sfavorevoli che hanno fatto lievitare uno dei budget più alti per il cinema francese dell'epoca, "Vite vendute" segna infine l'affermazione cinematografica di Yves Montand e la consacrazione ufficiale dello straordinario talento di Charles Vanel (Menzione Speciale al Festival di Cannes del 1953), qui impegnato in un ruolo tutt'altro che facile (il personaggio di Jo passa dalla sprezzante eleganza iniziale all'abbrutimento totale perdendo progressivamente spavalderia e sicurezza) e incredibilmente rifiutato da Gabin, convinto che un ruolo da vigliacco potesse nuocere alla sua carriera. Vanel interpreterà un personaggio non troppo dissimile dieci anni dopo, al servizio di Jean-Pierre Melville, nell'adattamento simenoniano "Lo sciacallo" ("L'Aîné des Ferchaux", 1963): a fare coppia con lui non ci sarà più l'italiano naturalizzato francese Yves Montand (Ivo Livi), ma un altro divo di origini italiane (paterne), tale Jean-Paul Belmondo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta