Regia di Charlotte Wells vedi scheda film
Pur riconoscendone un ottimo lavoro cinematografico, personalmente l'ho trovato eccessivo proprio per quel modo di raccontare. Troppa calma, lentezza e immediata intuizione su come andasse a finire.
Racconto introspettivo silente e molto interpretativo, questo è ciò che caratterizza il film d'esordio -ispirato ad una storia vera- della regista Charlotte Wells. Sophie la ragazzina quasi adolescente riprende, tramite una videocamera, la sua vacanza in Turchia col padre Callum. Un uomo silenzioso che incapace di mostrare le proprie fragilità, si nasconde dietro un'apparente freddezza.
Di lui si sa poco e ciò che se ne riesce a trapelare è tramite i dialoghi da cui si può comprendere una palese inquietudine. Il film racconta dunque, questo rapporto padre figlia particolare ed incomprensibile. E mentre il padre affaticato dalla vita coltiva silenziosamente il senso di disperazione, l'adolescente oramai Sophie, scopre la piacevolezza di un distacco genitoriale, scoprendone nuove emozioni.
Un dualismo insomma che si mescola a due tappe della vita di due essere umani completamente diverse: da una parte la vergogna il senso di vuoto, dall'altra la gioia e l'incomprensione che può suscitare il padre.
L'efficacia del film è proprio nel modo in cui la regista ha deciso di voler raccontare la storia: l'uso della ripresa per cercare di captare assieme a Sophie qualcosa che potesse darle una risposta, un particolare in più intercettato con lo zoom, su quel padre dannatamente taciturno. Il film scorre intervallando momenti passati a quelli futuri raccontando con onesta profondità, legami affettivi dolore e il fallimento di chi, seppur accanto, non sia riuscito a comprendere fino in fondo la malattia mentale di chi amava.
È la sensazione che prova Sophie quando, da adulta il giorno del suo compleanno, ricomincia a rivedere il nastro di quell'ultima vacanza col padre.
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