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Aftersun

Regia di Charlotte Wells vedi scheda film

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La recensione su Aftersun

di mck
8 stelle

“This is our last dance”: bel/buon lavoro, Miss Wells!

 

Esordi.

1. "CauseWay" (U.S.A., 2022) di Lila Neugebauer (1985).

2. "AfterSun" (U.K., 2022) di Charlotte Wells (1987).

 

 

Un’immane, violenta, sgomenta tenerezza divampa da ogni persistente fremere accanitamente assorto della cinepresa, da ogni ellisse di montaggio nella quale il tempo collassa su sé stesso in sovrapposizioni di realtà che deflagrano e si schiudono, sfiorendo e maturando in un unico, multiplo stato di realtà (“Here” di Richard McGuire, gli strati della Storia nell’incipit di “First Cow” di Kelly Reichardt), e viaggiatori impossibili si cercano, si soffermano sulla reciproca restituzione di sguardo, si toccano, si respingono e si avvinghiano in un ultimo, solitario, condiviso e postumo ballo suicidiario (“Beau Travail” di Claire Denis), nell’inconsapevole attesa che le emulsioni agli alogenuri d’argento sensibili ai colori primari in successione regolino, esposte alla luce dell’immagine impressionata, quali degli sviluppatori dei complementari bloccare e qual’invece possano passare per unirsi e formare per sintesi additiva (il doposole senza camera oscura) l’immagine positiva finale: la vita intesa come una Polaroid: la durata di un growing-up, la vastità di un 9x9, lo spessore e la complessità di una pagina fotosensibile.

 


Il cinema è la fotografia della fotografia di un ricordo eventuale, ipotetico, concepibile nel flusso dell’entanglement quantistico, 24 volte al secondo: la realtà trasognata, più vera del vero: una cartolina postale (un segno d’amore significante addio, e viceversa) ancora da affrancare e spedire dall'enclave per turisti in Turchia verso la Scozia.

 


Charlotte Wells (1987) debutta - “Well, I’m not the precocious 20-year-old that people tell me I look like. I have to disappoint them that I’m not some teen film-making prodigy… I’m 35...” - nel lungometraggio scrivendo e dirigendo questo bellissimo lavoro ["AfterSun" è sostanzialmente un prequel del suo debutto assoluto, il cortometraggio "Tuesday" (fruibile su Vimeo) del 2015, nel quale un'adolescente è alle prese con l'elaborazione del lutto per la perdita di una persona amata: col passaggio dalla breve alla lunga distanza, quindi, l'autrice compie un ulteriore passaggio a ritroso, giungendo all'infanzia, operando però da un avamposto nel presente in cui si ritrova ella stessa ad essere compagna e madre] lacerato e nostalgico, sognante e lucidissimo, al contempo felice perché immemore del futuro e straziato perché proprio da lì proveniente, mettendolo in scena con sana urgenza ponderata, ma furibonda, e parlando di ciò che (anche purtroppo) sa: accadimento raro e prezioso.

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…(two) ghosts in the fra(g)me(nt) machine…

 


…person to person: herself…

 

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La giovanissima protagonista, Frankie Corio, anch’essa esordiente, scritturata nel mucchio, è un piccolo miracolo: la sua Sophie è il tratto d’unione anagrafico fra, da un lato, “Poinette” di Jacques Doillon e “Petite Maman” di Celine Sciamma e, dall’altro, “Leave No Trace” di Debra Granik: il futuro l’attende, là, da qualche parte, in costante accelerazione.

Paul Mescal {“Normal People”, “the Lost Daughter” e il prossimo “Foe” [da Iain Reid (“I'm Thinking of Ending Things”, “We Spread”)] di Garth Davis (“Top of the Lake”)} impersona suo padre e Celia Rowlson-Hall {coreografa (“After Yang”, “X”), attrice tersicorea (“Vox Lux”) e regista [(e interprete, con Amy Seimetz, di) “Ma”(donna)] “sperimentale”} è Sophie da adulta.

 


Fotografia (naturalistico-analogica con lenti movimenti di macchina da presa michaelsnowiani ad arco) di Gregory Oke, montaggio (complesso, scaturente e fondativo) di Blair McClendon, musiche [di eccellente valore: il mix di violoncello + “Under Pressure” (Queen & David Bowie) è formidabile] di Oliver Coates (l’unico del cast tecnico-artistico ad avere già una carriera alle spalle: esecutor/suonatore in “Under the Skin” e “Phantom Thread” e autore della colonna sonora - l’elemento migliore del film - di “Significant Other”) e sound design profondamente stratificato di Jovan Ajder [che si districa in un profluvio fine anni ‘90 di Bran Van 3000, Blur, ChumbaWamba, Aqua e Macarena (con annesso/connesso e giustificato lancio di cibo), per finire con the Righteous Brothers e R.E.M. al karaoke].

Prodotto da BBC, BFI e, tra gli altri, da Barry Jenkins, e distribuito da A24 e MUBI.

 


“This is our last dance”: bel/buon lavoro, Miss Wells!

 

* * * * (¼) - 8.25   

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