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EO

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su EO

di Peppe Comune
8 stelle

EO è un asino occupato come tuttofare in un circo ambulante. Vive un rapporto molto speciale con l’acrobata Kasandra (Sandra Drzymalska), fatto di attenzioni e di carezze continuate. Ma capita che i debiti ingenti costringono il circo ad ammainare le tende. E allora l'asino si trova in balia degli eventi è assoggettato all'umoralità degli esseri umani. È messo in catene più volte e sempre riesce a liberarsi, cammina tanto ma non sa dove andare. Attraversa così l’Europa fino ad arrivare in Italia. Lungo la strada incontra buoni e cattivi, come è normale che sia. Fino ad accertare tutta la consistenza del disincanto. 

 

 

scena

EO (2022): scena

 

Un asino si aggira per l’Europa. Ebbene sì, con “EO” il grande Jerzy Skolimowski si affida all'animale per definizione più mansueto del pianeta per misurare il grado di ingiustizia sociale che regge l'impalcatura di vita del genere umano. E quello che è facile scorgere dal viaggio spesso in soggettiva dell’asino, è che l’individualismo non sa che farsene della coscienza di classe, che l’egoismo ha soppiantato ogni anelito solidaristico e che è molto meglio essere belli anche se capricciosi e improduttivi come i cavalli piuttosto che rendersi utile per ogni ideale incombenza come un povero asino. 

Ma nonostante tutto, uno spirito sardonico aleggia lungo la storia, con l’intento di vestire il film di un carattere non esclusivamente pessimista. Perché in fondo, ciò che l'uomo fa può sempre disfare, così come esiste il dolore della sopraffazione, resistono le gioie delle carezze. Quindi, come lo sguardo dell'asino è quello dell'osservatore passivo che incamera notizie per poi orientare i propri pensieri di conseguenza, allo stesso modo la regia si mantiene a quella giusta distanza che consente di registrare gli eventi senza giudicare. Di descrivere i fatti, perché a prescrivere le soluzioni possibili ci devono pensare gli altri. E questi altri che rimangono fuori campo, camminano qualche volta dentro il ventre molle del vecchio continente ? Toccano qualche volta con mano la marginalità sociale che degenera in violenza, la vanità chi si specchia nel suo ombelico, la povertà che non concede sconti ? 

Attraverso queste domande che sfilano in filigrana lungo lo sviluppo della storia, Jerzy Skolimowski ci offre un on the road a dir poco singolare, fosse solo perché costringe il cinema a confrontarsi con una prospettiva alquanto inconsueta. Non sono infatti le persone ad indirizzare il punto di vista dall'alto del loro ruolo dominante nell'economia del creato, ma un asino che guarda quel tanto che basta per offrirsi come termine di paragone tra la proverbiale disponibilità a fare e l’improduttiva volontà di potenza di chi sa solo urlare ordini.  

Lungo il cammino EO (nome ricavato semplicemente dal suono onomatopeico del raglio) lambisce i segni di un chiaro deterioramento delle relazioni umane, e anche se non capisce tutto perché non ha l’esperienza necessaria per farlo, i suoi occhi e il suo corpo si fanno testimoni, tanto delle catene che tengono legati gli animali come lui, quanto delle gabbie sociali che rendono gli esseri umani molto meno liberi di quanto credono di essere.

Anche se non manca una venatura animalista, con un modo anche ironico di stigmatizzare l’alimentazione esageratamente carnivora dell’uomo, a prevalere è tutt’altro che la crisi della relazione pacifica tra l’uomo e la natura, quanto piuttosto lo sguardo acuto dentro la disumanità in fieri. EO è infatti un animale politico, sia nel senso letterale che in quello concettuale del termine, perché cammina e osserva come va il mondo, fugge e capisce il valore della libertà, è incatenato e si spaventa per lo spazio che non gli basta più. Perché EO comincia a capire che le carezze di Kasandra rappresentavano il frutto di un amore disinteressato in quanto generato dalla stessa condizione di marginalità. Perché i suoi occhi, che intanto stanno imparando ad osservare il mondo come mai avevano fatto prima, si abituano a dare una misura alla libertà che va difesa e alla libertà che non si deve concedere.   

Detto altrimenti, “EO” non ha la veste elegiaca di un apologo naturalista a tesi, ma la concretezza di un pamphlet agrodolce che usa un asino come tramite poetico perché rappresenta, tanto quell'essere all'occorrenza sacrificabile qualora le circostanze lo richiedessero, quanto l’innocenza che per contrasto può far emergere in superficie ciò che serve per correggere il tiro. 

Un riferimento esplicito ed esplicitato è l’asino Balthazar di Robert Bresson. Chiaramente, le differenze di stile sono evidentissime, dato che il film dell’autore polacco è lontano dal rigore impregnato di religiosità di un autore estremamente seminale come Robert Bresson. Poi ci sono quelle di contenuto. Mentre il capolavoro del maestro francese ha un approccio poetico marcatamente cristiano, quindi teso a fare dello sguardo sofferente dell'asino un mezzo per riflettere sulla perdita della compassione tra gli esseri viventi, “EO” adotta una chiave laica per disegnare le forme del disincanto. Robert Bresson riflette sulla pietas irrimediabilmente corrotta dal materialismo, Jerzy Skolimowski mostra il materialismo che ha marginalizzato la pietas.  

Dopo 7 anni dal bellissimo “11 minuti”, fa sempre piacere vedere un grande vecchio come Skolimowski confermarsi come un autore dallo sguardo sveglio, acuto, giovane. Evviva. 

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