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EO

Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su EO

di laulilla
8 stelle

Un film che da Cannes è arrivato in Italia col TFF ed è approdato in sala per merito di qualche distributore coraggioso, che gli ha riservato piccoli spazi in orari difficili, fra cinepanettoni stagionali e kolossal di sicuro successo al botteghino.

 

E-O è la voce di un asino, il suo onomatopeico “raglio”, ovvero il suono al quale – com’è avvenuto per il miagolio dei gatti, l’abbaiare dei cani, il cinguettio degli uccelli – i grandi poeti di tutte le arti hanno tributato, spesso, nei secoli, un riconoscente omaggio.

 

EO è anche il nome che “individua” l’asinello protagonista di questo film: il suo raglio è di volta in volta espressione di stupore o di dolore; raramente di gioia, perché rare erano state le occasioni di gioia nel corso della sua vita.
Come tutti gli animali addomesticati, EO occupava un posto importante nella vita della comunità in cui viveva, quando lavorava esibendosi – con umani e animali – al circo di Lodtz, che per lui era la casa che non abbandonava e per la quale avrebbe ancora lavorato umilmente, instancabile e poco costoso mezzo di trasporto.

EO si accontentava infatti di un po’ d’erba secca, ma nelle occasioni speciali un po’ di carote lo faceva contento.

Ben lo sapeva Caxandra (Sandra Drzymalska), la bella pattinatrice-acrobata a cui dimostrava gratitudine non con le fusa – come un gatto – o scodinzolando e saltandole addosso – come avrebbe fatto un cane – ma  semplicemente ascoltandola e lasciandosi accarezzare.

Quando gli animalisti avevano obbligato il circo a chiudere e a “liberare” gli animali, per EO era cominciato un lungo viaggio, una migrazione verso le terre sud occidentali dell’Europa, fino all’Italia, dove avrebbe concluso la sua avventura.

 

Seguiamo trepidanti le perpezie dell’asinello, costretto a misurarsi, senza protezioni, con l’ignoto, ovvero col mondo europeo che gli umani hanno organizzato con predatoria superbia, nella convinzione  che esista una gerarchia naturale nell’universo finalizzata al proprio dominio  e al proprio vantaggio.

Poco è importante perciò che EO, essere vivente soggetto e oggetto di tenere emozioni, si fermi estatico davanti alla bellezza di un tramonto esprimendo “umanissime” reazioni di meraviglia o che esiti per il timore dei misteriosi segreti delle foreste: il suo destino solitario è segnato dalla contraddittoria e distruttiva follia degli umani appetiti.

 

Nonostante tutto, però, il nostro asinello non si lascia facilmente calpestare e reagisce con dignità agli insulti ingiusti: sa colpire con qualche calcio ben assestato chi si sente forte; sa fuggire velocemente e nascondersi alla vista degli stolti che lo umiliano senza ragione e dalle sgangherate folle di tifosi, che, dopo averlo coccolato e accarezzato come una mascotte, vorrebbero torurarlo fino ad ucciderlo.

Ha imparato, inoltre a mantenere la giusta distanza per sfuggire al fastidio del fumo o ai piatti lanciati dalla finestra da una rabbiosa Isabelle Huppert in Italia …

 

Anche per EO, purtroppo, si avvicina la fine: braccato dai venditori di animali da portare al macello, si infila nel recinto preceduto dai bovini e dai suini che stanno per affrontare la morte, e che, diversamente da lui, hanno subito senza mai reagire la dura crudeltà degli allevamenti intensivi.

 

Morirà, dunque, anche il nostro eroe?  Sì, come tutti (come noi); vorrei però aggiungere che il film mi ha lasciato l’impressione che l’asinello abbia compiuto una scelta di dignità, arrendendosi al destino comune, stanco di lottare inutilmente per affermare il proprio diritto alla vita, ammesso che davvero di vita, in questa parte del mondo perennemente - e inutilmente - impegnato nella guerra di tutti contro tutti e tutto, si possa parlare.

 

 

 

 


L’inizio del film contiene un omaggio esplicito a Bresson (Au hazard Balthazar [1966] fu l’unico film – dirà Skolimowsky in un’intervista – che l’avesse “inondato di lacrime”)la conclusione è la dichiarazione, ormai quasi rituale, che nessun animale é stato maltrattato* durante il tournage. 

Queste affermazioni sembrano convenzionali, ma probabilmente contengono anche la coscienza della diversità e dell’originalità di quest’opera rispetto al modello inarrivabile del regista francese.

 

Il film è l’ultima fatica di Jerzy Skolimowsky, il regista polacco che l’ha ideato, poi scritto insieme alla moglie Ewa Piaskowska e, infine, presentato a Cannes lo scorso anno, ricevendo il **Premio della giuria, insieme a qualche commosso riconoscimento e a molte irridenti contumelie di qualche insensibile critico, soprattutto in Italia

 

_______________

Il regista si è avvalso, infatti, di sei asinelli per lo stesso ruolo di protagonista, per permettere a ciascun animale di nutrirsi e di riposare ritrovando forze ed energia: fare l’attore, anche per gli animali, è faticoso. La volpe, invece, era fuggita da un allevamento di animali da pelliccia, anche lei “liberata” dagli animalisti.

** assegnato ex aequo a “Le Otto Montagne” (di Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen) ed “Eo” (di Jerzy Skolimowski)



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