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Enys Men

Regia di Mark Jenkin vedi scheda film

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La recensione su Enys Men

di alan smithee
7 stelle

La solitudine anelata e procurata finisce per creare, nella mente di chi l'ha prescelta, quei fantasmi inquietanti che inducono la protagonista riflettere sulle scelte recenti, un po' avventate e rischiose. In Quinzaine 2022 un film che pare un horror, ma si trasforma ben presto in una sorta di autoanalisi sulla scelta della reclusione.

scena

Enys Men (2022): scena

Alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 75, si è visto un piccolo film inglese ambientato in una piccola isola della Cornovaglia circondata da un mare perennemente in burrasca, abitata unicamente da una solitaria studiosa di specie vegetale, auto-reclusasi in quel posto un po’ ameno, ma anche un po’ inquietante. Non le resta che dialogare con se stessa, e i fantasmi della sua giovinezza, o della prole che ebbe e di cui al momento le notizie sono incerte.

Nulla viene spiegato, ma molte cose vengono fatte vedere, acuendo nello spettatore un senso di angoscia che spesso la solitudine porta con sé, destabilizzando e inducendo l’eremita a crearsi sensazioni che inducano a rassicurarlo.

Nel 1973, presso un’isola completamente disabitata in mezzo al burrascoso mare di Cornovaglia, una studiosa biologa si occupa di prendersi cura di alcune rare infiorescenze che crescono a ridosso di un precipizio.

Lo spettatore la segue nel medesimo atto di andare ogni giorno ad osservarle, misurando la temperatura del terreno e annotando meticolosamente i dati in un taccuino, e poi proseguendo un viaggio sempre uguale che si trasforma quasi in un rito scaramantico con alcune tappe fisse, tra cui la visita al pozzo ove la donna è solita gettare un sasso ad ogni occasione, per sentirne il tonfo a contatto con l’acqua  del fondo.

Poi la donna si avvia a casa, accende il generatore a benzina che le consente di illuminarla, riscaldarsi e prepararsi da mangiare.

La routine di questa donna solitaria e tranquilla viene scossa solo dal periodico sopraggiungere di un uomo, forse suo ex amante, che la rifornisce di benzina, thè ed altri generi di prima necessità indispensabili per quella vita da eremita.

Col tempo però cominciano ad apparirle davanti anche altri individui, tra cui una giovane che potrebbe essere la figlia, o la stessa donna trent’anni prima.

Una spiegazione a queste insolite e un po’ inquietanti apparizioni, non verrà mai svelata.

Catalogato un po’ superficialmente come horror, l’opera seconda del regista Mark Jenkin è un film che parla di solitudini deliberate, di contatti con una natura ostile ma nello stesso tempo rassicurante, per quella sua straordinaria tendenza a separare da ogni altro aspetto che leghi l’individuo al caos di qualsiasi aggregato urbano.

Girato con una fotografia sgranata che lo rende un film datato come fosse degli stessi anni della vicenda, Enys men è un film che si prende i tempi canonici di una ripetizione che rimane l’unica certezza di uno scandire del tempo che, altrimenti, potrebbe tranquillamente fermarsi e rimanere bloccato fino all’infinito al periodo preso in considerazione.

L’isola che circonda e accoglie la donna rimane sempre la stessa, scalfita nella sola superficie esteriore impercettibile dal logorio degli elementi che si traducono in vecchiaia, e che sono il primo segnale d’allarme per chi ha scelto di vivere un eterno presente, tra problemi di pura sussistenza, e segreti che si vorrebbe restassero al di fuori di quei luoghi, sgombri dai pensieri che ancora inevitabilmente coinvolgono la protagonista.

Pur inevitabilmente irrisolto, scientemente ripetitivo perché ripercorrere i medesimi sentieri induce a maturare esperienze ed acquisire certezze, Enys men affascina, almeno come lo scoglio brullo e splendidamente isolato sul mare, sempre emblema di una insidia che separa, più che unire realmente.

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