Regia di Stephen Sommers vedi scheda film
Hollywood metaforizza l’unica urgenza che (le) pare ormai irrinunciabile: quella dell’immortalità. Simbolo della chirurgia plastica, della liposuzione aggravata (che non è un reato ma poco ci manca), del dna modificato, del Progetto Genoma (che non sta, purtroppo, in Liguria) è Imhotep, riscaraventato nel futuro cinquemila anni dopo non aver consumato con Meela e dieci anni dopo gli accadimenti della “Mummia 1”. O’Connell e consorte (il bolso Fraser e gli occhi più belli oggi a Hollywood, Rachel Weisz), annoiati da dieci anni di matrimonio, sono di nuovo sulle tracce di misteri egiziani. Dopo l’antefatto, eccoli a Londra, anni ’30, tra Indiana Jones e “La tigre e il dragone” (le donne combattono meglio degli uomini), e batte il tamburo lentamente dell’odio che gli inglesi nutrono per Al Fayed il proprietario di Harrod’s e di qualsiasi altra cosa produca danaro in Gran Bretagna. Si parla, insomma del passato, ma i riferimenti sono tutti per i nostri grigi giorni intrisi d’invidia e “preoccupazioni”. Sommers sfrutta ogni effetto speciale del mondo, il digitale batte il “reale” 6 a 0 e l’Inter si consola. Citazioni da “Titanic”, dalla Bibbia, persino da “E.T.” e dal western all’italiana, braccialetti magici, falchi che azzerano poste prioritarie, celeri ed elettroniche, “gremlins” tanto crudeli quanto simpatici, e una specie di Sandokan che filosofeggia alla Boskov. Puro Cinema Multiplex, popcorn e patatine, tuoni e fulmini per centoventi minuti buoni, dialoghi inesistenti, rapporti interpersonali come ai tempi di Michelangelo Antonioni. Eppur si muove.
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