Regia di Mark Mylod vedi scheda film
Noia, noia e ancora noia. Ecco, in cinque parole, cosa penso di The menu. Troppo lento, troppo freddo, troppo assurdo, troppo finto, troppo scontato. Eppure avrebbe anche potuto non essere così. Per esempio ricordo che Midsommar, film che nello sviluppo della trama ho trovato molto simile a questo, pur senza entusiasmarmi era riuscito, nonostante una sospensione dell'incredulità messa a dura prova da una sequenza di episodi eccessivi e disturbanti, a farmi provare una certa tensione e angoscia.
The Menu invece non mi ha suscitato nessuna emozione, nessuna riflessione, solo la voglia di arrivare in fretta alla fine. Vero che la messinscena mostra un'estetica curatissima (alla prima scena ho pensato che i volti dei due protagonisti fossero stati generati digitalmente da un'intelligenza artificiale) dietro la quale però ho trovato poco o nulla, tanto da generare in me una distanza crescente che è diventata alfine totale estraneità agli eventi raccontati. Sì, volendo si può leggere la storia come una forma di feroce critica alla società e ai fenomeni culturali moderni, dove dominano apparenza e falsità, sia in chi li produce che in chi li consuma. Ma è una critica spuntata, prevedibile, banale.
Comunque, perché non prendere questa presunta critica come spunto e andare fino in fondo, scrivendo una metarecensione?
E allora qui affermo che il film è la metafora di sé stesso, la storia dietro la storia. Al posto di chef e avventori io vedo regista e spettatori. Il regista ha infilato una sequenza di scene eleganti e patinate, ma vuote e prive di consistenza, come le portate della cena grottesca che racconta. Gli spettatori ne vantano le virtù inesistenti od omoeopatiche perché convinti di far parte di un pubblico elitario, analogamente agli avventori che mangiano e bevono tutti i piatti fatti di (quasi) nulla che lo chef propone loro con cerimeniale solennità, soddisfatti più di tutto dal credersi parte di una clientela selezionatissima.
La differenza sta che mentre nel film la cena finisce in una carneficina dove tutte le vittime sono consapevoli della loro sorte, fuori dal film gli spettatori non si accorgono di essere portati alla morte intellettuale, nella convinzione di avere letto chissà quale profondo significato laddove invece c'è solo un messaggio convenzionale che li fa crogiolare nella loro vuota innocuità.
Io, con somma (come intensità) e infima (come moralità) presunzione, mi vedo nella parte della protagonista che rifiuta di partecipare alla sceneggiata. Così come lei a piatti raffinatissimi preferisce un hamburger emblema del cibo spazzatura, anche io rifiuto di partecipare a una tale sceneggiata e alla fine della proiezione in sala mi alzo urlando "arridatece Edwige Fenech e Lino Banfi"!
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