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I figli degli altri

Regia di Rebecca Zlotowski vedi scheda film

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La recensione su I figli degli altri

di EightAndHalf
5 stelle

Il desiderio di maternità negato dalle circostanze nel volto di Virginie Efira, insegnante di liceo che vuole troppo bene in generale per non sentirsi una madre mancata. È obbiettivamente un tema fuori moda, quello del desiderio materno aprioristico, fuori dall’idea di famiglia e da altri costrutti sociali: infatti, per quanto appaia come un potenziale tema antiquato, è dopotutto affrontato da un verso paradossale in Les enfants des autres, in cui Efira si ritrova a far da madre a tanti altri bambini, ma mai i suoi. I figli degli altri, appunto. Ma per quanto possa entrare nella loro vita, continuano ad essere di altri, e quegli altri sono troppo spesso bravi a deluderla.

Rebecca Zlotowski, che ha una carriera discontinua e non sempre brillante, gira col freno tirato nel tentativo di fare un ritratto delicato e non melodrammatico, attraverso i consueti strumenti di un cinema medio e con pretese minime: musica nei momenti giusti (anche troppo), regia invisibile, nessuno svolazzo (se non quelle chiuse in nero tremolanti che fanno capolino di tanto in tanto). Però questa generale atmosfera tenue del film non solo non replica con sufficiente pathos i sentimenti di una donna che sentiamo sempre irrimediabilmente lontana, ma non può affidarsi unicamente a se stessa e quindi ha bisogno di un eccesso di narratività, di eventi che accadano per sbloccare delle riflessioni e dei personaggi, dei piccoli accadimenti apparentemente poco importanti ma che sembrano messi lì per riempire e per sostenere delle lacune, per rimediare a una sfiducia rispetto ai personaggi e alla loro naturale gratuità. E non trattandosi di un melodramma propriamente detto, la sensazione è che la scrittura si trascini cercando possibili spiragli di umanità, mentre la generale piattezza visiva si ostina a negarli. Alla fine si rimane confusi su alcune scelte dei personaggi e sulle reazioni di altri, e nessuno sembra farsi davvero le domande giuste, ma non perché siano personaggi incapaci, ma perché la morale sembra alla fine quella di doversi accontentare di ciò che ti riserva il destino e avere pazienza, qualcosa darà i suoi frutti. È insomma fuori fuoco quest’idea che il film presenti dei personaggi molto consapevoli e padroni di sé, e poi che quegli stessi personaggi siano in balia del destino, senza che troppe delle loro sicurezze vengano scalfite. Forse è l’anello di congiunzione per capire lo sguardo di Zlotowski: distaccato, borghese, non troppo intrigato dai suoi stessi eventi. E il film per questo, è inevitabile, passa inosservato come se non fosse mai iniziato. 

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