Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Una terra selvaggia piantata al centro dell'Europa, soggetta alla forze disgregatrici di una economia globale che impoverisce e divide, umilia e amareggia, emargina e allontana, in un gioco al massacro che scarica sui più deboli i giochi di potere che si svolgono in un altrove remoto e civilissimo che si cela alla vista.
Abbandonato il lavoro in Germania dopo aver picchiato un suo superiore, Matthias ritorna nel piccolo villaggio transilvano da cui proviene per ritrovare una situazione gravida di latenti conflitti etnici e sociali pronti ad esplodere
Animali selvatici...e dove trovarli
Continua l'analisi delle contraddizioni e della frammentazione culturale della società rumena da parte di uno dei suoi autori maggiormente rappresentativi, qui alle prese con la rielaborazione in chiave simbolica e romanzata, di un recente fatto di cronaca xenofoba e delle sottostanti recriminazioni economiche.
Il tema dello straniero in terra straniera è il nucleo centrale attorno a cui si sviluppa la rete di relazioni di un microcosmo da presepio vivente che proprio sotto Natale decide di dare una pessima rappresentazione di sé, sottolineando le molteplici stratificazioni di una polarizzazione ideologica (il conflitto tra la maggioranza rumena e la minoranza ungherese) che non tarda a svilupparsi sui diversi piani del comportamento sociale e degli equilibri di potere; coinvolgendo blandizie religiose, recriminazioni classiste, sperequazioni economiche, dominio patriarcale, strumentalizzazione della paura e chi più ne ha più ne metta fino ad un finale dove la minaccia alla biodiversità intesa come attentato ecologico alla libera convivenza delle sue diversificate componenti finisce per rivoltarsi contro il vero, unico, molesto usurpatore di regioni selvagge mai realmente addomesticate dalla tracotanza umana. Se è vero che il realismo allegorico dell'autore rumeno si sforza sempre di trovare un punto di equilibrio tra ragioni contrapposte da cui viene naturalmente bandita qualsiasi censura etica, è anche vero che nessuna di esse finisce per avere una piena giustificazione come perturbatrice del patto sociale, della pacifica conivenza di una comunità che si ritrova nei riti collettivi di un centro culturale che diventa presto la sede d'elezione per un confronto democratico in cui darsele di santa ragione, in una delle scene centrali della narrazione, e dove persino il lutto finisce per cessare di essere un elemento di aggregazione e solidarietà umana. Come il protagonista del film, un energumeno fedifrago che vorrebbe educare il figlio alla strenua sopravvivenza contro la minaccia dell'altro, sia esso uomo o bestia, rischiamo di ritrovarci a rigirare fra le mani l'immagine digitale di una scansione cerebrale (la R.M.N. del titolo originale) senza capirci un'acca, quando ad una visione più attenta e ponderata salterebbero subito agli occhi le magagne che si celano sotto la sua superficie, alla stregua di quelle che peraltro minacciano l'integrità di una comunità dove ricchi e poveri, rumeni e ungheresi, autoctoni e stranieri, preti e sindaci finiscono per avanzare ciascuno il proprio diritto alla sicurezza economica ed all'autodeterminazione politica. Una terra silvestre piantata al centro dell'Europa ma comunque distante da essa, da sempre landa di scorrerie di popoli invasori, che ha preservato intatta la sua vocazione alla convivenza con la natura e la sua incrollabile fede nella cristianità, ormai orfana di una artificiosa unificazione autocratica è soggetta alla forze disgregatrici di una economia globale che impoverisce e divide, umilia e amareggia, emargina e allontana, in un gioco al massacro che scarica sui più deboli i giochi di potere che si svolgono in un altrove remoto e civilissimo che si cela alla vista.
In concorso per la Palma d'oro al Festival di Cannes 2022 (vinta dall'altrettanto politico Triangle of Sadness dello svedese Ruben Ostlund) e miglior film al Festival del cinema europeo Palic 2022.
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