Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Mathias (Grigore), un operaio con modi da cavernicolo, lascia la Germania, dove era emigrato per lavoro, per tornare nel villaggio d'origine, in Transilvania. Qui ritrova il piccolo Rudi, suo figlio, traumatizzato da qualcosa che ha visto nel bosco; i rapporti con sua moglie sono a dir poco complicati mentre la sua amante, che gestisce un'azienda che produce pane, si trova in difficoltà perché la popolazione locale non accetta l'ingaggio di tre operai provenienti dallo Sri Lanka.
Dopo avere infilato perle come 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni e Un padre, una figlia, il rumeno Cristian Mungiu alza l'asticella dell'ambizione per aggiungere un altro importante capitolo alla sua poetica, in gran parte rivolta al dissesto della società rumena. Ma stavolta la materia sulla quale lavorare è così tanta che sembra sfuggirgli di mano. Ne esce un film rapsodico, una babele non solo linguistica (la cittadina dove è ambientato il film è un crogiuolo di etnie a basso tasso di tolleranza: ungheresi, tedeschi, rumeni, francesi), ma anche diegetica, nel quale si sovrappongono linee narrative di diversa intensità: il doppio rapporto padre/figlio (Mathias ha anche un genitore malmesso), la xenofobia, la relazione amorosa, l'organizzazione del lavoro. Tanto, troppo, sicché in più occasioni il tentativo di raccontare la complessità della convivenza interetnica e le tante, diversissime visioni del mondo, si sgretola in una composizione che lascia troppi interrogativi e dubbi, a partire dal criptico titolo originale (R.M.N. potrebbe essere l'acronimo della risonanza magnetica del padre malato come le consonanti di Romania).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta