Regia di Cédric Jimenez vedi scheda film
Nel film che ricostruisce l'operato dell'antiterrorismo francese all'indomani dell'attacco del sedicente stato islamico che a Parigi costò 130 vite - molte delle quali nel Bataclan, dove si teneva un concerto - c'è una frase che spiega molto. Ed è quando il comandante Fred (Dujardin) si sente dire dal terrorista che sta interrogando che "la colpa è di cinquant'anni di politiche sbagliate". È questa la chiave per capire un film che - non avendo alcuna intenzione pilatesca - lascia vedere in filigrana anche le ragioni della radicalizzazione islamica, senza mai giustificarla: colonialismo, sfruttamento, banlieue abbandonate a loro stesse hanno fatto germinare quel sentimento di rivalsa con cui un manipolo di esaltati ha cercato di ripulire lo Stato che, più di tutti in Europa, rappresenta quella decadenza di costumi che il fondamentalismo islamico intende punire. Ma il film non è solo questo. Il film è il racconto dello sforzo indomabile - che non conobbe pause né sonno - dei cinque giorni seguiti all'assalto al Bataclan, quelli dopo il 13 novembre 2015. Un'opera travolgente, che alterna pedinamenti, irruzioni delle forze speciali, ricerche in giro per il mondo (per catturare i responsabili furono coinvolti venticinque Paesi), interrogatori, decisioni tattiche, iniziative personali. Dopo French Connection, L'uomo di ferro e BAC Nord, Cédric Jimenez, talento emergente del cinema transalpino, si conferma regista dalla fortissima vocazione politica, capace di raccontare con lucidità ammirevole gli incastri di quei giorni frenetici, con una scena (quella del raid nel covo dei terroristi) che - memore della lezione di Zero Dark Thirty (Bigelow) - dovrebbe entrare di diritto nei manuali di storia del cinema.
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