Regia di Hlynur Palmason vedi scheda film
Hlynur Pálmason è un regista in crescendo, e a soli 38 anni è un bel profilo per il Cinema nord europeo, in questo caso islandese. Islanda che raramente ha deluso nei suoi film rigorosi e (apparentemente) fuori mercato. Così succede anche qui, in questa sua terza opera. "Godland" è Cinema difficile, duro, che concede poco allo spettatore ma che ha quell'afflato, specialmente dopo la durissima prima ora di visione, che cattura, quell'aura mistica e magica che solo quella terra e quelle facce, riescono a rendere palpabile. Una storia minima, un prete danese che a fine ottocento si reca in uno sperduto paesino islandese, per evangelizzare e per costruire una chiesa. Il ragazzo non sa cosa l'aspetta, fra persone tagliate con l'accetta e una natura "meravigliosa e terribile", per citare un dialogo del film. Dio è dappertutto lassù ma farà di tutto per scomparire, nelle vicissitudini umane del prete. Un film esageratamente lungo, specialmente nella prima parte, il viaggio, che è davvero uno sforzo di visione notevole, per poi placarsi all'arrivo al villaggio, dove si dipana una storia quasi thriller, profondamente scavata dentro i personaggi, tutti attori splendidi, come è cosa normale per quella scuola cinematografica. Attorno, la natura violenta dell'Islanda, che Pálmason ci fa vedere meravigliosamente, un po' come farebbe Malick e un po' come farebbe Herzog, più il secondo, direi. Film complesso, denso, lontanissimo dal Cinema di plastica di oggi, che richiede attenzione e impegno ma che ripaga, alla fine. Non un capolavoro, per quello c'è ancora tempo, ma qualcosa di diverso e, a suo modo, inquietante.
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