"Godland - Nella terra di Dio" di Hlynur Pálmason
Danimarca 1900 circa.
Un giovane sacerdote viene mandato in Islanda per iniziare i lavori su una chiesa, che dovrà essere finita prima dell'imminente Inverno. Verrà messo in guardia sulle molte difficoltà che vi troverà: la diversa lingua, il freddo glaciale, i vulcani, le ritrosie e le probabili ritorsioni della popolazione locale, che versa da ormai mille anni sotto l'egemonia Danese. Sbarcherà in Islanda dalla parte opposta alla sua destinazione finale, così da poter documentare il lungo viaggio con una macchina fotografica. Benché abbia una profonda fede in Dio, la perderà più di una volta (insieme alla salute e a molti chili di peso).
Bella, potente e impegnativa opera di Hlynur Pálmason, che aveva già impressionato con il precedente dramma a tinte famigliari "A White, White Day - Segreti nella nebbia" del 2019. Dialoghi ridotti all'osso, molti dei quali nella lingua locale islandese(sottotitolata ovviamente), ma che rendono davvero l'idea di un clima inospitale fin dall'inizio del film, dove i paesaggi sono visivamente bellissimi ma assolutamente letali per chi non sa come affrontarli. Notiamo in molte sequenze l'insegnamento cinematografico di un maestro come Terrence Malick, sul come sono raccontati i rapporti umani, ma pure Werner Herzog per come la psiche e il fisico vengano modellati da una natura che ci circonda e ci domina quando e come vuole. Due ore e mezzo davvero intense che passano senz'accorgersene, almeno per quanto mi riguarda, forse qualcuno si sarà pure annoiato, perchè non stiamo parlando di un film "facile", ma di un'opera complessa che ti entra dentro, difficile da dimenticare.
Una nota tecnica che non conoscevo: il film è interamente girato con un rapporto d'aspetto di 1,33:1, il cosiddetto "quadrotto", con gli angoli arrotondati. All'inizio può dar fastidio (credo fosse nell'intento del regista, aumentare ancora con il senso di soffocamento, di ristretto... mah) ma con il passare dei minuti non lo notiamo neanche più.
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