Regia di Hlynur Palmason vedi scheda film
Un viaggio esplorativo in Islanda con intenti umanitari si trasforma in una sfida alla propria ambizione di uomo che muta un giovane prete in un arrogante uomo qualunque condizionato dai propri interessi materiali. Una conferma delle lodevoli capacità tecniche e narrative del regista islandese di A white, white day.
FESTIVAL DI CANNES 75 - UN CERTAIN REGARD
Al Certain Regard di Cannes 75, c’era molta attenzione per il film in costume Godland. Una sorta di “prova del nove” a carico del regista danese Hlynur Palmason , alla sua terza prova dopo i lodevoli Winter Brothers (2017) e A white, white day (2019), presentato alla Semaine de la Critique del 2019, e vincitore del TFF dello stesso anno.
Alla fine dell’800 un giovane prete protestante danese appassionato di fotografia, riesce ad ottenere i fondi e gli appoggi necessari per intraprendere un viaggio pastorale ed esplorativo in Islanda, isola già largamente circumnavigata, ma poco conosciuta da chi non la abita nel suo splendido e misterioso territorio interno.
Uno dei propositi del prete è anche quello di far costruire una chiesa ove poter officiare la santa messa.
Un apparecchio fotografico, per quei tempi all’avanguardia, gli permetterà di immortalare paesaggi ed abitanti, fornendo un’ adeguata documentazione a valore demografico e geografico, essendo l’Islanda un territorio, oltre che inesplorato, anche vergine alla documentazione fotografica.
Giunti sul luogo, la spedizione parte su cavalli e muli. Le difficoltà ad attraversare territori visivamente mozzafiato, ma difficili da percorrere, finiranno per decimare gli uomini, mettendoli spesso uno contro l’altro, ostacolati anche dal parlare lingue differenti e poco conciliabili tra loro.
Il giovane prete sopravvivrà giusto in tempo per essere soccorso da un abitante del luogo, vedovo con due figlie avute da due matrimoni differenti, la più grande delle quali inizierà a provare una certa attrazione per il sacerdote.
Il giovane si accorgerà che la difficoltà del viaggio e la sua brama di esplorazione del nuovo territorio lo avranno reso un uomo qualunque, più interessato a privilegiare il proprio orgoglio che a soddisfare le esigenze di una chiesa al servizio del popolo.
Con Godland il valido regista Hlynur Palmason si conferma un efficace confezionatore di solidi film in cui l’ambiente esterno che fa da sfondo alla vicenda assume un ruolo chiave per la riuscita della vicenda.
Lo stile di regia classico si apre al paesaggio mozzafiato di un’ Islanda dalla sfolgorante ed insidiosa bellezza attraverso vedute e scorci in grado di predisporre al meglio lo spettatore. Lo schermo si rimpicciolisce inoltre scientemente in un formato vintage a 4/3 per adattarsi alla dimensione fotografica tipica degli albori della fotografia.
Tornando indietro nel tempo, Godland ci appare un film stilisticamente impeccabile (come il Mission di Roland Joffé di metà anni ’80) che ha il pregio di concentrarsi su un personaggio infido e mediocre che non perde occasione per dimostrare tutta l’incongruenza che lo muove e lo anima.
Protagonista del film nel ruolo dell’ambizioso prete perduto nei sogni di vanagloria, il bravo attore danese Elliott Crosset Hove riesce a impadronirsi del personaggio, conferendogli un’ adeguata dose di ambiguità in grado di renderlo infido e sgradevole in modo coerente con l’oggettività della situazione narrata.
Nei panni della sorella minore del padre di famiglia che accoglie il prete protagonista ritroviamo la giovane attrice Ida Mekkin Hlynsdottir, già protagonista bambina del menzionato ed apprezzato A white, white day.
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