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Ritorno a Seoul

Regia di Davy Chou vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ritorno a Seoul

di obyone
7 stelle

 

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Ritorno a Seoul (2021): scena

 

In Corea del Sud molti bambini vengono abbandonati alla nascita mentre la cultura locale, refrattaria all’adozione, spesso non garantisce il calore di una famiglia. Alla base di “Ritorno a Seoul” del regista franco-cambogiano Davy Chou vi è, dunque, una realtà stratificata e dolorosa già raccontata, anche se con stile diverso, dal regista giapponese Kore-eda Hirokazu in “Broker”, visto nelle sale italiane lo scorso autunno.

Davy Chou si è ispirato alle vicende di un’amica con la quale condivide la nazionalità e l’origine asiatica. Freddie, venticinquenne francese, trova i propri genitori biologici nella natia Corea del Sud. Come molti altri bambini è stata adottata all’estero ed ora si ritrova a dare un senso a tale avvenimento. La Corea del Sud è un paese ricco ed esportatore di tecnologie tuttavia è paragonabile ai paesi del terzo mondo per quantità di bambini mandato all’estero. Tale primato è dipeso da molti fattori: la facilità con cui le madri-single si liberano di bambini indesiderati a causa dello stigma sociale a cui sono sottoposte, la mancanza di aiuti economici a loro favore per tenere i nascituri e, non meno importante, la consuetudine storica maturata con la guerra di Corea alla fine della quale fu stipulato un accordo tra Seul e Washington per favorire le adozioni internazionali verso Stati Uniti. La guerra, infatti, aveva provocato parecchie vittime e lasciato sul campo ancor più orfani a cui nessuno era in grado di prestare aiuto in quella precisa fase storica. Il paese era allo stremo ed il boom economico ancora lontano. Chiusa nei decenni successivi l’emergenza bellica le associazioni caritatevoli, che si occupavano di adozioni, continuarono il loro lavoro favorendo l’espatrio dei bambini verso gli Stati Uniti approfittando di una regolamentazione blanda e assai “flessibile”. Benché le condizioni del paese si fossero progressivamente trasformate il boom delle adozioni da un paese all’altro si ebbe negli anni ‘80. Negli anni seguenti le cose cambiarono, spesso grazie all’apporto di associazioni di coreani "americani" che tornati in Corea si batterono per impedire ulteriori adozioni al di fuori del paese. La regolamentazione recente del governo di Seul ha reso le adozioni verso l’estero più complicate garantendo maggior tutela alle madri e ai bambini. Il rovescio della medaglia si intuisce nel film di Kore-eda. Lo stop alle pratiche internazionali ha riempito a dismisura gli orfanotrofi perché, venuto meno il flusso verso l’estero, non vi è stato un numero sufficiente di adozioni interne.

 

 

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Ritorno a Seoul (2021): scena

 

Sono le questioni culturali su cui il governo dovrà lavorare in futuro per invertire la tendenza. In Corea avere un figlio al di fuori del matrimonio è assai disdicevole e al contempo i legami di sangue sono talmente fondamentali per la cultura coreana da rendere pressoché nullo il ricorso all’adozione di quei bambini che vengono riposti nelle “ruote”. “Broker” insegna. Le coppie che ricorrono all’affido, per evitare il dileggio sociale, sono costrette ad acquistare dei kit per fingere la gravidanza. Spesso, se la condizioni di infertilità è nota, la coppia preferisce divulgare il pettegolezzo della relazione adulterina piuttosto che sopportare il disprezzo e l’esclusione sociale dovuti alla mancanza di legami di sangue con il figlio. Una volta finiti negli orfanotrofi (al collasso) per il bambini coreani non vi sono molte speranze di fuga e solo i “clandestini”, quelli “trattati” dai malandrini di Kore-eda hanno la possibilità di accasarsi con maggior facilità, nel più assoluto riserbo.

Se i bimbi di oggi non trovano casa i molti bambini di ieri che riuscirono a trovarne una all’estero sono condizionati dalla mancanza di un legame saldo con la società che li ha cresciuti. Nel film di Davy Chou le criticità di vivere in un luogo ma appartenere ad un altro sono espresse da Frédérique Benoit a cui il regista si affida per raccontare una ribellione esistenziale ed un feroce spaesamento che si manifesta in azioni riprensibili. Fin dall’inizio Freddie ci appare scostante e viziata. Non esita ad umiliare il ragazzo con il quale è andata a letto e l’amica conosciuta alla reception di un alberghetto. Identica sorte tocca al padre biologico che sbatte fuori dalla sua vita a calci in culo. Ci sono, tuttavia, delle attenuanti che ci invitano a riflettere. La ragazza affronta in modo troppo superficiale il percorso di ricerca dei genitori e non conosce la Corea ed i suoi costumi. In modo inconscio Chou convince il suo pubblico a regalare alla ragazza una nuova possibilità dilatando il racconto ai successivi 8 anni. Riprende il viaggio sospeso nel tempo coreano di Frédérique, il cui nome è Yeoh-hee, ma l’impressione rimane la stessa ovvero quella di una giovane donna inquieta, insoddisfatta, ingrata che ha cambiato lavoro, capelli, gusti ma non la sostanza. Non risparmia umiliazioni ai propri fidanzati mentre cova dentro di sé la rabbia per un ripudio materno inteso come affronto perpetrato alla sua persona anziché gesto di rifiuto e abbandono. Ad un certo punto il regista ci propone un finale che potrebbe essere il naturale capolinea di un percorso di crescita. La sequenza, tra l’altro è stupendamente straziante tra lacrime e mani che si arrendono all’istinto. In realtà Chou ha in serbo un ulteriore sorpresa che non comprendo e suona come un inutile accanimento oppure una sadica lezioncina moraleggiante per chi ha cercato altrove ciò che già aveva a disposizione. Perché mai chiudere con una mail ritornata al mittente? Ho conosciuto qualche giovane adottato. Il percorso pregno di domande fatalmente senza risposta è comune. C’è chi lo supera con maggior facilità, c’è chi fa più fatica, un po' come succede a Yeom-hee. Andarci a sbattere contro è necessario per capirsi e comprendere il proprio passato. È già sufficientemente difficile così senza messaggi rispediti al mittente da un'azione premeditata che suona come un nuovo abbandono. Davy Chou sembra punire Yeoh-hee, una ragazza meschina che nasconde dietro una maschera di caparbietà tutta la propria fragilità. Per me il film si chiude nell’abbraccio scandito dai singhiozzi tra una una donna ed una ragazza. Finisce con quell'incontro. Magari l'unico. A dispetto di un finale discutibile "Ritorno a Seoul" è senza dubbio un buon film in cui troneggia la giovane attrice Park Ji-min il cui trasformismo esteriore racconta di un personaggio interessante nelle sue molteplici sfaccettature.

 

Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara

 

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Ritorno a Seoul (2021): scena

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Ultimi commenti

  1. yume
    di yume

    Ciao, mi dispiace pormi fuori dal coro, io avrei dato due stelle e ti spiego perché: sarà una scelta del regista, ma la durata del film è eccessiva, soprattutto per via di alcune sequenze molto stiracchiate per le lunghe, e inutilmente. Il profilo della ragazza mi è sembrato non abbastanza delineato, certo ragazzi abbandonati e adottati non sono soggetti facili, ne ho conosciuti e sfuggono come anguille a chiunque cerchi di stabilire empatia con loro. La cosa va capita, ma perché dilatare per anni la storia? Si può dire molto con molto meno. Questa è stata la mia reazione personale, naturalmente, quella che mi ha fatto guardare l’orologio più volte sperando che si decidesse a finire. Amo il cinema orientale, cinese, giapponese, coreano, senza riserve e da molto tempo e moltissime visioni che non sono tutte qui perché una volta scrivevo per altri, non mi hanno mai deluso, tranne Departures e oggi questo. Capita, opinione personale, ribadisco. Molto utile tutta la prima parte della tua recensione con tante notizie che vanno divulgate. Ciao

    1. obyone
      di obyone

      Ciao Paola. È un piacere leggere il tuo commento. Effettivamente questo film alla prima impressione è piuttosto ostico. Le informazioni trovate sul web mi hanno aiutato a capirlo meglio e mi hanno permesso di comprendere anche il film di Kore-era. Copisco benissimo i tuoi dubbi e le tue rimostranze intorno al film anche se personalmente gli ho dato un voto migliore. Ho letto di giovani americani di origine coreana che hanno costituito associazioni per combattere le adozioni internazionali verso gli Usa. Mi chiedo se abbiano vissuto così male in America da rifiutare il paese che li ha cresciuti. Per queste persone evidentemente non c'è pace altrimenti avrebbero posizioni più morbide. Forse la dilatazione del racconto serviva a giustificare il perdurare di tali frustrazioni per molti anni in molti individui. È una mia supposizione per altro.
      Detto questo tra gli asiatici che sono in sala in questi giorni ho apprezzato di più "Plan 75" benché non sia di facile fruizione. Se non l'avessi visto te lo consiglio.
      Roberto

  2. yume
    di yume

    Oh sì, ho visto Plan 75, piaciuto moltissimo, non l’ho recensito per mancanza di tempo, operai in casa, capisci bene. Un siparietto comico su quel film te lo racconto: torno dopo qualche giorno per vedere altro nel mio solito cinema e vedo una gran fila che aspettava di entrare a quello. Età media tra i settanta e gli ottanta. Chiedo alla maschera: ma lo sanno di cosa parla? Il poverino ha detto si, ho cercato di avvertirli, e giù gran risate.
    Dunque su questo, forse sì, tra qualche anno, quando arriverà in Tv o su mubi ( mi rifiuto di avere piattaforme varie) forse lo rivedrò, so bene che a volte si cambia idea col cinema. Quindi alla prossima e ribadisco, la situazione di chi è rifiutato alla nascita proprio da chi lo ha messo al mondo è tra le più terribili, ho avuto un’alunna che aveva genitori deliziosi, e lo era anche lei, ma tra loro c’era un solco durato tutta la vita, niente da fare. Beh, in tempi di crociate anti aborto bisognerebbe riflettere. Ciao, buona domenica

    1. obyone
      di obyone

      Dove l'ho visto io i settantenni non si sono fatti abbindolare. :-)
      Buona domenica a te.

  3. ezio
    di ezio

    premesso che devo ancora vederlo,ma non mi stupisco della durata,annoso problema che trovo durante la visione degli ultimi film...o negli ultimi anni,semplice (pe me) non sono capaci di racchiudere una storia in novanta minuti e allora diventano noiosi e insopportabili e purtroppo hanno preso poco dal cinema e dai maestri del passato ma il guaio e' che infarciscono il contenuto con immagini e scene inutili.

    1. obyone
      di obyone

      In realtà dura poco meno di due ore. Forse più che lungo lo si può trovare "allungato". Personalmente non mi ha spinto a guardare l'orologio per la noia Semmai non mi ha convinto il finale. Sui tempi filmici non saprei che dire. Forse si sono allungati nel tempo ma credo che ogni epoca abbia avuto i suoi "Via col vento".

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