Regia di Kristoffer Borgli vedi scheda film
Signe, cameriera senza particolari aspirazioni nella vita, sta con Thomas, artista egocentrico che campa di espedienti, spesso rubando idee e opere altrui. Quando la fortuna bacia Thomas, facendo decollare la sua carriera ed esplodere il suo narcisismo, Signe sentendosi messa in disparte comincia a desiderare una sola cosa: la popolarità. Come attirare rapidamente l'attenzione di tutti, quindi? Signe ha un'idea a dir poco malsana.
Per il norvegese Kristoffer Borgli, classe 1985, questa è la seconda regia in lungometraggio a quattro anni di distanza da Drib (2017); Sick of myself è un film complesso e profondamente attuale che porta avanti la critica del regista – autore anche di svariati, interessanti cortometraggi – a una contemporaneità impregnata di falsi valori e morali inequivocabilmente dannose. La protagonista di questo lavoro, interamente scritto dallo stesso Borgli, è Signe, una ragazza senza grandi qualità che annaspa nella sua esistenza grigia e mediocre accontentandosi della luce riflessa del fidanzato Thomas, artista in erba ma soprattutto ladruncolo narcisista che si nutre del suo stesso egocentrismo. Qualcosa scatta nella mente della ragazza quando Thomas riceve le attenzioni della stampa locale e la sua carriera artistica sembra finalmente lanciata; la folle ricerca di altrettanta,o maggiore visibilità porta la protagonista a un gesto di notevole autolesionismo tale da farle meritare la preoccupazione o quantomeno la pietà di chiunque le stia attorno. Ma la ricerca di attenzioni è una droga che si autoalimenta e la giovane si ritrova immersa in una spirale senza fine di dolore, disperazione e vuoto interiore. Quanto sia semplice accostare questa parabola a quella dei social network è perfino inutile sottolinearlo; interessante risulta però osservare la risoluzione dell'intreccio, che vede Signe trovare un po' di pace all'interno di un 'gruppo di recupero olistico', vale a dire un capannello di ritardati, negazionisti della scienza, falsi invalidi, mitomani, bugiardi patologici: reietti della società che si accettano tra loro solamente in virtù della reciproca – simulata – solidarietà. E qui il parallelo con le dinamiche social non potrebbe essere più chiaro. 6,5/10.
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