Una barista carina ed ambiziosa di nome Signe (Kristine Kujath Thorp), vive la sua vita soggiogata dall'ambizione del suo affascinante ragazzo (Erik Saether), un artista che sfrutta utensili ed attrezzi per creare qualcosa che cerca di far passare per arte.
Quando quest'ultimo, cinico e moralmente deprecabile nel suo agre quotidiano, riesce ad arrivare alla fama, la sua compagna, afflitta da sensi di inferiorità, cercherà di mettere in atto tutta una serie di atteggiamenti fuorvianti attraverso i quali riuscire ad emergere.
Passando da apparentemente innocui comportamenti menzogneri, via via sempre più compromettenti e maliziosi, fino ad arrivare all'azzardo di assumere un farmaco sperimentale che le provoca vistose alterazioni della cute ed una innumerevole quantità di problematiche fisiche al solo scopo di riuscire a farsi notare, per riuscire nel compito arduo di farsi compatire e giovarsi di una certa accondiscendenza in grado di fornirle quella notorietà con cui affrontare il successo irresistibile ottenuto dall'ambizioso compagno.
Opera seconda del regista norvegese Kristoffer Borgli, passata con successo al Festival di Cannes 2022 nella sezione del Certain Regard, il controverso e a tratti sin irritante Sick of myself ha garantito la notorietà internazionale al suo autore e la chiamata in Usa per dirigere il non meno controverso ed insolito Dream Scenario, prodotto da Ari Aster e interpretato da un notevole Nicolas Cage, ora nelle sale anche da noi.
Questa sua seconda opera riflette in modo spietato i risultati, tossici in svariate accezioni, tipici di una società che vive e si alimenta di sensazionalismi e di un apparire come garanzia consolidata di successo e di visibilità, contropartita quest'ultima ormai essenziale per vivere la vita sulla cresta dell'onda, per quanto effimera questa si riveli.
L'assurdità masochistica a cui arriva la vicenda ricorda il cinema tutto eccessi e calcoli emotivi che ha caratterizzato l'ascesa irresistibile di un altro regista non meno nordico del presente, ovvero lo svedese Robert Ostlund.
E non meno calcolatore del presente cineasta norvegese, che gira sapientemente e con destrezza una vicenda che si fa carico di prendere scientemente di sprovvista lo spettatore, tra indignazione suggerita ogni volta che è possibile, ma stemperata da una ironia di fondo che trova il modo per accattivarsi lo spettatore, illudendolo di trovarsi ad affrontare finalmente un prodotto autoriale che non rinuncia a rivelarsi estrosamente accattivante.
Un bel giochino condotto sapientemente, ma soprattutto scaltramente, che si fa forza altresì su attori belli anche quando deformati, e di giusti tempi che scandiscono un disfacimento del corpo tanto ricercato con scellerata coscienza di intenti, quanto caratterizzato da manifestazioni e mutazioni repentine quanto inaspettate e dirompenti, in nome di uno spettacolo garantito ad ogni costo e con un cinismo coerente alla tematica trattata.
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