Regia di Tarik Saleh vedi scheda film
Tarik Saleh, svedese di nazionalità, egiziano di origini ed islamico di imprinting ha dimostrato con "Omicidio al Cairo" tutto il suo attaccamento all'Egitto ove studiò presso un istituto d'arte prima che il cinema scegliesse per lui la strada da seguire. La nazione del padre è così importante da chiedergli un'ulteriore e approfondita analisi per completare quanto iniziato con il precedente film. Così fondamentale da spingerlo a tornare, almeno idealmente, laddove non può più mettere piede, e riprendere il lavoro dal punto in cui l'aveva lasciato. Raccontare, ancora una volta, la capitale africana è una necessità urgente che spinge con forza fino a trovare un minuscolo spiraglio tra le sabbie modellabili del deserto morale dello stato di polizia fondato sulla persona del presidente al-Sisi. Un deserto in continua espansione che rende arido qualunque aspetto si voglia analizzare, umano e sociale.
Tarik Saleh cerca la luce tra le fitte e fastidiose particelle di una tempesta che si insinua in ogni dove allo scopo di mettere silenzio al flebile mormorio di moralità e decenza, sia politica che religiosa, ancora presente. Non a caso il regista passa dalle indagini di un chiassoso omicidio alle trame fini e complesse di una cospirazione che ha per protagonisti i poteri politici e religiosi ai quali le autorità di pubblica sicurezza si sottomettono in modo evidente.
All'Università di al-Azhar un giovane studente viene ucciso ed il Grande Imam esala l'ultimo respiro aprendo la difficile questione della successione. La nomina della più importante autorità religiosa del paese non è cosa da poco. Il presidente deve garantirsi una persona fedele al suo fianco, qualcuno che condivida le sue stesse posizioni. Il Grande Imam deve essere espressione del governo onde evitare spiacevoli ripercussioni alla presidenza.
Serve allora la polizia per instradare verso la giusta e ineluttabile meta la scelta del consiglio. Il lungo nasone di Fares Fares, stavolta ridimensionato da una riccia e scompigliata capigliatura e da un paio di occhiali vistosi, ci precede nella notte del Cairo, momento nel quale Ibrahim è solito dare istruzioni alle spie che lavorano per lui nel cuore culturale e religioso del paese.
Ibrahim è un agente del servizio di sicurezza. Il suo compito è quello di spingere l'università di Scienze Islamiche a nominare lo Shaykh Beblawi, molto più vicino al presidente di quanto non siano il saggio Shaykh Negm e l'ortodosso Shaykh Al Durani. Ma per agire dall'interno il colonnello ha bisogno di uno studente ingenuo e di modesta estrazione sociale, meglio se nuovo dell'ambiente e con poca esperienza. Una colomba bianca da immolare in una voliera piena di falchi. Caduto nella trappola il giovane Adam collabora per evitare, per se e per la famiglia, le conseguenze del diniego.
Mi piace pensare che Saleh abbia scelto, per il protagonista, il nome del primo uomo per raccontare la parabola di un giovane puro che, trovatosi nell'Eden della sapienza (La Luminosa/al-Ahzar), ha commesso l'errore di obbedire alle seduzioni del male. Sfidando la sapienza dell'Altissimo Adam ha peccato discendendo verso la posizione carnale di uomo da cui poi ha intrapreso il lungo viaggio di risalita verso il cielo. Adam, infatti, al soldo di un'autorità politica che sembra più emanazione di Satana che della Shari?ah, si abbandona a correnti di pensiero estreme, causa la persecuzione di un giovane innocente ma, in fine, risale la china rinnegando le proprie ambizioni ed i luccichii di una fede vuota e di facciata. Adam torna al mare, alla semplicità e alla fatica che esprimono la propria vicinanza al divino meglio di quanto non facciano anni di studio e rispetto cavilloso della legge. Come Adamo nel giardino dell'Eden il giovane studente rappresenta la necessaria caduta dell'uomo e la successiva e conseguente ricerca dell'assoluta perfezione di Allah.
Se questa suggestione è molto seducente dal punto di vista interpretativo, l'aspetto più interessante del film è rappresentato dall'utilizzo dei personaggi femminili. Saleh racconta il potere. Le donne non hanno a che fare con esso, perciò sono quasi assenti, anche nei luoghi, come il fast food, ove l'impronta islamica della società viene soggiogata dalle tentazioni occidentali. Deve passare un bel po' di tempo prima di vedere le uniche due donne del racconto. La più vecchia è una serva, quella giovane è l'amante di un uomo di fede che ha consumato in segreto il proprio potere. Il regista avrebbe potuto eliminare ogni accenno al genere femminile. Uno scandalo di natura omosessuale avrebbe funzionato dal punto di vista narrativo. Avremmo avuto una società di soli uomini che pregano, studiano il Corano, amministrano la giustizia, impongono la sicurezza e governano la società civile. E, contemporaneamente, fomentano l'odio e inducono l'instabilità. Saleh, tuttavia, ha subito sufficienti vessazioni in passato da rendere più prudente l'adozione di uno stratagemma narrativo meno trasgressivo. Il peccato tra un uomo di fede ed una bambina è sicuramente meno grave di quello commesso tra un insegnate di religione islamica ed un suo studente adulto e consenziente. Così in Egitto. La scelta di Saleh, invece, ricade sulla sposa-bambina e non è certo un espediente di comodo. Il ruolo subalterno delle donne è palese. La donna non ha potere e non è un caso che le due attrici vestano i panni delle schiave rinchiuse nella casa di un uomo intransigente e conservatore. Porre la donna al centro dello scandalo ha inoltre lo scopo di enfatizzarne la mancanza di moralità secondo il sentire comune. Tentazione a cui gli uomini per bene si concedono con assoluta facilità per smacchiarsi di ogni mancanza di cui sono colpevoli. La ridicola e vuota disquisizione sul matrimonio segreto tessuta dinnanzi ad una domanda ben oculata ne è l'esempio perfetto.
Alla fine di un racconto subdolo e disincantato Tarik Saleh si fa strada tra la sabbia e la polvere. Un barlume di luce esce dal vorticoso mulinello di sabbia che circonda Ibrahim lasciandolo spesso senza via d'uscita, pedina sacrificabile di un sistema di poteri forti e feroci. Ma a garantire la via di fuga al giovane Adam non è uno spiraglio morale bensì l'astuzia con la quale l'uomo, da sempre, utilizza la logica e la parola per raggiungere i propri fini. Di fronte ad un uso tanto virtuoso quanto spregiudicato della conoscenza si ritrova nudo davanti al suo creatore. L'interpretazione della legge coranica è salva ma al giovane che ha perso, con l'uso della dialettica, il suo candore morale, non resta che nascondersi tra le acque salate del mare e meditare sull'interpretazione di una legge divina spesso modellata dalla furbizia dell'uomo. In Egitto come altrove.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
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