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La ragazza dalle mani di corallo

Regia di Luigi Petrini vedi scheda film

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La recensione su La ragazza dalle mani di corallo

di moonlightrosso
4 stelle

Da vedere insieme a "Così così più forte" per un piccolo dittico sul tema del lesbismo.

Decisamente non male questo "La ragazza dalle mani di corallo", facente parte di un dittico, unitamente a "Così così più forte", che vede Luigi Petrini alla regia ed Elo Pannacciò in veste di sceneggiatore e produttore con la sua "Universalia".

Direttamente inseritosi nel filone inaugurato dallo chabroliano "Les Biches" e pesantemente sforbiciato dalla nostra retriva censura, il film affronta in maniera esplicita il tema del lesbismo colpevolizzandolo sino alla dannazione in un finale cruento e tragico, quale unica soluzione possibile di un punto di non ritorno.

La relazione fra Nadia (Linda Towne), ricca e annoiata borghese e Nicòle (Susanna Levi), giovane hippie iconoclasta di ogni regola sociale prestabilita, si dipana tra puro edonismo e affermazione della centralità della donna contro un maschio sempre più inutile, dipendente e represso ma con il quale entrambe non si lesinano avventure e piaceri. Il possibile punto di rottura causato dall'intensificarsi della relazione eterosessuale di Nadia con Tano (un efèbico Bernard De Vries), porterà Nicòle a spingere Nadia al gesto estremo di uccidere il giovane.

Nonostante attori poco noti e una sceneggiatura fumosa e scombicchierata, il Petrini, avvalendosi di un accattivante bianco e nero, decide di trasfigurare l'elemento narrativo in pura espressione puntando su primi piani quasi bergmaniani di volti femminili di notevole e insolita bellezza. Se l'inglesina Linda Towne, nel ruolo di Nadia è presenza interessante, è il volto angoloso di Susanna Levi, al secolo Assunta Sicurezza e all'epoca compagna del Pannacciò, a "bucare" veramente lo schermo, quasi elemento iconico di un Andy Wahrol da esibire a Carnaby Street o in una sfilata di Mary Quant.

In un'atmosfera contemplativa dove non sfigura nemmeno l'oggi compianto Gianni Dei nella parte di Claudio, giovane amante di Nicòle, irrompe con inaspettata e delirante violenza la lite tra la bellezza nordica di Micaela Cendali Pignatelli, già moglie di Flavio Bucci e la fisicità di Steven Tedd (al secolo Giuseppe Cardillo), sfortunato divetto d'italici westerns di serie Z. Un curioso gioco erotico con le pigne, interrotto per volontà della Pignatelli, suona nei confronti del Cardillo come castrazione di un maschio non più dominante e senza una sua individualità ma regredito a semplice oggetto e trastullo di comodo.

Dialoghi essenziali e d'inutile quotidianità sono sommersi, alla maniera di un Luchino Visconti nel quasi coevo "Morte a Venezia", nell'ottima colonna sonora del palermitano Roberto Pregadio.

Nella seconda parte, il Petrini non riesce a contenere e purtroppo subisce il debordante copione pannacciano, con dialoghi che si fanno sempre più artefatti e posticci e con elucubrazioni filosofeggianti talmente finte da far cadere le braccia. L'esaltazione icastica della figura di Nicòle, quasi fosse il Taszlo del testè citato film viscontiano, divinizzata da Nadia come la "verità" e l'"assoluto" (sic!), non può non suscitare crasse risate involontarie.

"...Comincerà tutto un mattino", è la frase lapidaria di Nicòle che conclude la pellicola e alla quale, otto anni più tardi, il Pannacciò in veste di regista aggiungerà "...io donna tu donna", per il titolo di un film che riprenderà le tematiche qui trattate, sia pure in chiave più marcatamente femminista per essere in linea con i tempi ma dagli esiti prevedibilmente fallimentari.

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