Regia di Sergio Citti vedi scheda film
Sergio Citti ha costruito una propria identità di regista come narratore di favole. Un cantastorie, etnologo per caso, di personaggi, scenari, motivi (fame, amore, sesso), rovine, situazioni ai confini della povertà. I “miserabili” dei suoi film sono al di qua della politica e dentro un’arcadia di stracci e di cattiverie, di infelicità e di gioie semplici. Cialtroni, ubriachi, prostitute spensierate, ballerine senza mutande, contadini, una ragazzina dagli occhi sgranati, un figlio perduto e ladruncolo, architetture dirupate, paesaggi sfigurati non dallo sviluppo e dal consumo, ma da un idealizzato stato di natura che tarda ad evolversi. “Vipera”, come la canzone, è il soprannome che il maniscalco Leone, in un paesino siciliano degli anni ’40, ha dato alla moglie fuggita con un altro uomo. Finisce la guerra, i fascisti si travestono prima da comunisti e poi da democristiani e la povera gente sopravvive, tra un ballo e una bevuta. Rosetta, la figlia del protagonista, rimane incinta, Leone muore, il neonato, Fortunato, viene tolto alla giovanissima madre che finisce in un istituto. Maggiorenne ritroverà la madre-strega e il figlio. Sul finale una battuta teorizza che una storia viene raccontata non per piacere, ma per dispiacere. Il dispiacere del testo è un obiettivo raggiunto senza sforzo dal regista e dagli attori in stato di disgrazia.
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