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Il ragazzo e l'airone

Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film

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La recensione su Il ragazzo e l'airone

di Antisistema
8 stelle

La pietra ha elevato l’essere umano dalla condizione animale, per ergerlo a capo di tutto l’ecosistema. Smussandone la forma, sono state create le prime armi di violenza, la medesima che l’adolescente Mahito infligge a sé stesso, causa insoddisfazione esistenziale. Essere in un nuovo luogo quanto al tempo stesso altrove con il pensiero. Alla natia Tokyo, alla madre morta nell’incendio dell’ospedale, per non citare un paese nel pieno del secondo conflitto mondiale, mentre la campagna e la nuova sposa del padre; Natsuko, sembrano una stasi del tutto aliena.
Il ribollire dell’animo di Mahito, non può che subire gli echi lontani di una guerra, sempre più vicina e distruttiva, nella propria carica virulenta.
Questo mondo idilliaco, troppo perfetto ed eccessivamente calmo, viene smosso dal folio del vento, dovuto al battito di ali di un airone cenerino avvicinatasi eccessivamente al ragazzo. Il volo dell’uccello apre un universo di possibilità, che esprime l’esigenza di Miyazaki di ritrovare la scintilla che egli stesso, con il ritiro annunciato troppo repentinamente dopo “Si Alza il Vento” (2013), aveva troppo frettolosamente sopito.
“Il Ragazzo e l’Airone” (2023), quindi, nel suo schietto autobiografismo, nonché nel contrasto tra stasi e movimento, ingenera il connubio della creazione artistica.
La realtà empirica secondo Miyazaki, racchiude in sé il mistero. Quell’irrazionalità a cui spesso negata, a favore della grigia monotonia appiattente. Mondo e onirico, s’intrecciano, ma la porta di accesso all’irreale, che per Mamoru Oshii sarebbe concessa alla soggettività di ogni essere umano disposto ad attraversarla; nella concezione di Miyazaki è una strada percorribile solo a chi risulta esservi predestinato.
Solo l’eletto può entrare nella tana del Bianconiglio, ovvero l’artista, che porta in sé il potere della creazione.
Un varcare la soglia che conduce ad un sotto-verso, da leggere attraverso le lenti della fiaba satirica, una sorta di “Paralapimeni della Batrachiomachia” di Giacomo Leopardi, trasposto in chiave cinematografica, dove i vari personaggi ed animali, vanno analizzati nel loro significante ultimo, in una chiave ora socio-politica, ora allegorico-artistica.
L’airone simboleggia il passaggio tra i mondi, ma anche la saggezza donata a Mahito nel suo porsi come guida, mentre i Parrocchietti con a capo il loro re, raffigurano il popolo giapponese soggetto a seguire acriticamente ciò che ripete il sovrano (chiaro rimando all’imperatore Hirohito), senza discuterne gli ordini.  

 

scena

Il ragazzo e l'airone (2023): scena


Questo viaggio, dai chiari rimandi all’Inferno di Dante (esplicitamente citato), tale perfetto altrove puzza di morte come lo stesso Mahito.
In qualunque condizione spazio-temporale, l’alito mortifero impregna la logica dei mondi esistenti. Un multi-verso di possibilità infinite, in cui Miyazaki si giostra con svariati rimandi alle sue opere precedenti; su tutte sicuramente “Città Incantata” (2001) ed “Il Castello Errante di Howl” (2004), che sembra però aggrovigliarsi in sé stesso, sempre nei medesimi difetti; l’impossibilità della perfezione e la volontà di perseguire il potere.
Proprio qui si ritorna alla pietra; oggetto che racchiude in sé lo strumento di dominio, in quanto il suo controllo, consente la potestà più importante di tutti; la creazione.
Solo chi sfrutta tale finalità per “disegnare” mondi, invece di controllarli, viene consentito l’utilizzo.
La prima creazione umana, fu la pietra, in essa quindi si ritrova la geometria come emerge negli “Elementi” di Euclide, che permette la costruzione dei mondi.
Ma la materia e le regole, sono solo la potenza dell’arte, che per divenire atto, ha bisogno dell’alito vitale dell’artista, in quando capace di vedere le infinite architetture possibili, precluse a coloro che invece si perdono dietro vane illusioni; la vanagloria, il potere, la violenza e così via.
Indubbiamente una concezione “aristocratica” dell’arte. Molto poco “democratica” e sicuramente assai lontana da qualsiasi logica industriale omologatrice. Non è un caso che il linguaggio narrativo, risulti anomalo per un film dello studio Ghibli, che della semplicità intellegibile a chiunque ha sempre fatto la propria bandiera. Sicuramente tra i rivoli di una narrazione talvolta sciattamente criptica (Miyazaki purtroppo non è Oshii) e spesso travolta da eccessivi barocchismi cromatici liquidi, facilmente si rischia lo spaesamento, da parte di colui che abbia una predisposizione cinematografica ancorata al classico, oppure una mente eccessivamente razionale.
Bisogna essere disposti a scendere a patti, con una pellicola disinteressata a qualsiasi caratterizzazione dei personaggi, ridotti come nel “Tenet” di Christopher Nolan (2020), ad allegorie e significanti, mossi da un Dio-demiurgo, che della fantasia nel creare mondi, ha fatto la propria cifra stilistica. Miyazaki però giunto alla vecchiaia inoltrata, rifiuta sterili escapismi, in quanto l’artista migliore, conosce perfettamente la misura dei propri limiti, chiudendo la vicenda con un finale forse affrettato, ma conciso nella sua postilla tematica.

 

scena

Il ragazzo e l'airone (2023): scena

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