Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film
Hayao Miyazaki mette in moto la macchina del tempo e ci porta nel Giappone del 1944. Il regista si riconnette al passato di fanciullo raccontando i giorni convulsi in cui la sua famiglia si trasferì in campagna, lontano da Tokyo, affinché l'ingegnere e imprenditore Katsuji Miyazaki lavorasse nella fabbrica di proprietà (opportunamente riconvertita nella produzione di componenti per i caccia) contribuendo allo sforzo bellico del paese. Fu un periodo molto felice per il piccolo Hayao e per i suoi congiunti che poterono passare serenamente il periodo della guerra, lontani da essa. Come in altri film precedenti si rincorrono ne "Il ragazzo e l'airone" evidenti elementi biografici quali l'allontanamento dalla capitale, la malattia della madre, spesso ricoverata in ospedale, e l'agiatezza conferita dall'attività del padre.
Il giovane Mahito, alter ego del regista, ha qualche anno in più del piccolo Miyazaki e la fuga da Tokyo, l'anno successivo al devastante bombardamento della capitale, è il frutto delle incursioni alleate, della morte della madre e della relazione del padre nel frattempo innamoratosi della cognata. Mahito si congiunge alla zia Natsuko nella villa di campagna portando in dono, ai vecchi del vicino ospizio, prelibatezze introvabili durante la guerra sfoggiando altresì la superbia del proprio rango, celata dalla disciplina e dalle rigide buone maniere del Sol Levante. Un luogo di acque limpide e paesaggi incantevoli attende il ragazzo mentre la zia, che porta in grembo il fratello di Mahito, non sembra in grado di scalfire la profonda amarezza del ragazzino ed il disagio provato dalla convivenza indesiderata. La ferita, causata dalla morte della madre, brucia nell'animo lacerato del bambino che vorrebbe indietro il tempo perduto. Mahito la cui differenza sociale è evidente nella rasatura dei compagni di scuola, utile a debellare i pidocchi, si procura una ferita alla testa corvina per non frequentare la scuola del villaggio e rimanere nel suo ostinato silenzio al riparo da tutto.
Miyazaki scrive una storia ambientata nel profondo dell'inconscio, quello di un bimbo che vede la madre spesso ricoverata e quello del piccolo Mahito che se la vede portar via, inerme, nelle fiamme che avviluppano l'ospedale di Tokyo, un episodio realmente accaduto durante la guerra e mai dimenticato dai giapponesi. L'entrata che conduce nella psiche del bambino, ovvero la porta di Mahito per "il paese delle meraviglie", è una vecchia torre depositaria di storie paurose raccontate dagli anziani per spaventare i più piccoli e costringerli a rimanerne lontani. Quello degli anziani dell'ospizio è un inutile sforzo perché un airone fatato conduce Mahito dentro la torre e, da lì, verso un mondo fantastico di pellicani e parrocchetti, di vivi e morti, abitanti di un passato svanito che vorrebbe ancorarsi, arcigno, al presente. Nel suo viaggio nella terra dei "Bianchini della luce" e delle pietre dotate di purezza il ragazzetto, accompagnato dal proprio Virgilio, l'airone dalle sembianze umane, si perde in un luogo tanto strano quanto indecifrabile. Tuttavia, ritrova la via che lo riconduce al piacere della vita grazie ad alcuni personaggi fiabeschi come la giovane madre e la vecchia Kiriko tornata al fiero portamento di un indomito puledro.
Miyazaki scrive un racconto di formazione, per una volta declinato al maschile, in cui il giovane protagonista finisce per accettare un presente imperfetto ma vitale scansando le facili rassicurazioni di un ovattato nascondiglio in cui coccolare un falso senso di equilibrio. Nella sua scalata alla torre, una faticosa arrampicata verso la consapevolezza, il ragazzino apprende la lezione impartita e recupera il rapporto con la zia accettandone il nuovo ruolo di compagna del padre e di madre di un bambino con cui condivide metà corredo genetico.
Nel complesso dunque è piuttosto lampante il significato di crescita fisica e spirituale attribuito dal maestro al suo ultimo lavoro. Quello di cui non sono certo è, semmai, il senso dei singoli personaggi e degli elementi che si succedono lungo la narrazione. I parrocchetti, che in un habitat privo di antagonisti, tendono a moltiplicarsi all'infinito, sembrano rappresentare l'umanità la cui pressione sul pianeta è un'evidenza nota. Il loro re, impaziente e altero, sembra ricoprire il ruolo di sovrano, sacerdote e guerriero. Anela l'uso delle armi ed è strumento di contatto tra umano e divino, tra finito ed infinito. Il prozio, divinità assoluta ma sotto scacco, guarda passivamente il proprio regno esclusivo che si sta sgretolando, incapace di porre rimedio all'inevitabile.
Ancor più misterioso il pellicano che si nutre delle anime candide dei bambini. Cosa rappresenta davvero? I figli indesiderati o quelli che non nasceranno a causa dell'uomo, dello sfruttamento del pianeta e della povertà di risorse che si profila all'orizzonte? Difficile dirlo ma propendo per la seconda ipotesi. Ogni pensiero è, comunque, un azzardo ed ogni spiegazione sembra inutile. In tutto questo caos di fumi e impressioni l'evento più semplice da razionalizzare è la scomparsa della zia che Mahito confina in qualche stanza buia del subconscio finché deciderà di assegnarle il compito di madre che il fato le assegna per il nipote e per il nascituro.
Dal punto di vista tecnico il film, invece, è un autentico piacere per gli occhi. Le carrellate verticali aprono l'orizzonte su paesaggi mozzafiato mentre le scene in interno sono iperrealistiche tant'è la precisione e la dovizia di particolari. Per ricordarci che si tratta di un anime il regista lascia qualche impronta qua e là con un oggetto o un personaggio dal sapore retrò che ricorda i bei disegni degli inizi della carriera. L'airone che si tramuta in un uomo e torna nuovamente un uccello inghiottendo il suo stravagante minuscolo ospite è un interessante trovata visiva, probabilmente legata al folklore che vede nell'airone un messaggero dell'aldilà. Ancora una volta mi arrendo davanti a questa figura che assume la connotazione d'uccello benché digrigni i denti (di uomo) nel mondo reale mentre si riduce ad un floscio costume nel regno alternativo in cui Mahito lotta per strappare la zia al suo carcere.
Reflusso di coscienza da scacciare con una freccia? Messaggero di morte? O più comunemente ponte tra due rive? L'airone di Miyazaki rimane oscuro come il senso di quasi tutto ciò che si vede una volta sprofondati nel liquido pavimento del salone centrale. Viene da chiedersi se tutto ciò che Miyazaki raffigura in questo racconto sia necessario mentre la confusione rende più opaco lo spettro d'azione dello spettatore che alla fine se ne esce tra l'appagato e il disorientato. Troppa confusione ma anche tanta fascinazione. La madre (Terra) che si scioglie in una pozza d'acqua resta, probabilmente, la scena da scolpire per sempre nella memoria presente, in quella che è l'ultima (ma davvero?) opera del maestro che del disegno ha fatto un arte cinematografica.
The Space Cinema - Torri di Quartesolo (VI)
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