Regia di Patrice Chéreau vedi scheda film
INTIMACY (Orso d’Oro a Berlino nel 2001 per la migliore regia dell’ormai recentemente scomparso Patrice Chèreau) parla di intimità, ma l’intimità di fatto non esiste. Intimità è il titolo del film, ma l’intimità di fatto è una cosa che non c’è tra i nostri protagonisti. Il film racconta si della loro vita intima. Jay (Mark Rylance) ha quaranta’nni, aspirante musicista , fa il capo barman in un locale notturno, ha da un giorno con l’altro abbandonato la casa famigliare con la moglie ed i due figlioletti per starsene da solo in una casa decrepita e sporca in un periferico quartiere londinese. E qui, viene citato il tema dell’ omonimo romanzo dello scrittore inglese, pakistano di origini, Hanifh Kureishi, ossia, la ardua decisione di Jay, il protagonista del suo romanzo, di lasciarsi tutto alle spalle ed andarsene, ma, nel film, Jay questo lo ha già fatto e si trova a fare i conti con la sua solitudine attuale e i ricordi di un matrimonio, che sempre di solitudine era fatto. Anche il suo unico amico Victor, la sua solitudine la vive da sempre, da tempo separato, conduce una vita che sembra una discesa agli inferi fatta di alcool e droga. Claire (Kerry Fox, Orso d’Argento al cinema di Berlino 2001, come migliore attrice) , quarant’anni anche lei, madre, moglie, casalinga, aspirante attrice da dopo sposata, sarà sempre crisalide che non spiccherà mai il volo , come la parte che recita sempre ogni mercoledì sera nello scantinato di un bar, la parte di Laura, nella opera teatrale di Tennessee William, lo ” Zoo di Vetro “. Anche qui, in Zoo di Vetro, c’è un uomo, che come Jay , ha abbandonato improvvisamente, “con un estremo colpo di coda” la moglie e i due figli , c’è il fratello di Laura, che come Jay e Claire, aspira a qualcos’altro ; vorrebbe fare lo scrittore e che per non pensare alla sua vita misera e monotona , si rifugia tutte le sere al cinematografo, a “vivere” le storie e le avventure di altri e che alla fine anche lui abbandonerà la madre e la sorella, come ha fatto prima suo padre. Claire, invece, come Laura , protagonista di Zoo di Vetro, tiene stretto l’unico animale che nella realtà non esiste , il più bell’animale dello Zoo: il suo unicorno di vetro , chiusa nella gabbia di se stessa e delle sue illusioni fra compromesso e finzione. Claire ogni mercoledì prima di recitare Zoo di Vetro, dalle due alle quattro di pomeriggio va a casa di Jay e fa probabilmente quello che con il marito non ha mai fatto o che da tempo non fa. Suona il campanello, Jay apre e anche Jay fa con lei quello che con sua moglie non faceva da un pezzo. Non sanno uno il nome dell’altro e non si dicono nemmeno una parola. Sono i corpi che parlano: non servono parole, solo corpi e sono rappresentati chiaroscurati , in primissimo piano , aggrovigliati , eloquenti che sembra escano dai dipinti di Francis Bacon. Poi c’è il marito di Claire , Andry che asseconda le aspirazioni della moglie , tenendole il figlioletto e aiutandola al bar dove si tiene la rappresentazione teatrale, perchè se non si facesse così alla lunga si finirebbe per perdersi rincorrendo altro. Andry fa il tassista, ma gli piace farlo bene , gli piace parlare mentre conduce i suoi clienti a destinazione, altrimenti che lavoro sarebbe? E così lui , “buona anima ignara” con un qualche dente storto ed un po’ di pancia e chili in più, fra una birra e un bigliardo non dubiterebbe mai della fedeltà di sua moglie . Ma poi quando viene a scoprire di essere stato tradito, il massimo che fa è vomitarle addosso, voltandole le spalle , perché sta guidando, che non vale proprio niente come attrice. Le fantasie di Claire s'infrangono, diventando orrenda ipocrisia. L'unicorno di vetro si spezza. Andry viene visto per come è , l'uomo meno vivo che Claire abbia incontrato, con addosso l'espressione della prima volta che si erano conosciuti, ossia di quando lui era stato mollato. Ed a Jay, tutto ciò che gli rimane è quella donna del mercoledì. E si che tutto avrebbe potuto anche andare avanti così , se non che, Jay pedina la sua amante sconosciuta e scopre la sua vita. Allora decide di non vederla più. Ma quando Claire manca ad un appuntamento lui scopre di soffrire senza di lei, si accorge di non poter più fare a meno di lei e vuole prendersi la responsabilità delle sue azioni. Un sesso anonimo, che poi conduce all’amore o alla volontà di possesso (come nell’ Ultimo Tango a Parigi) e se prima voleva togliersi garbatamente dalla scena , ora Jay va dal marito Andry ,a spanne gli fa intuire cosa stia succedendo e poi prega Claire di stare con lui e di lasciare il marito. In questo modo Jay distrugge il loro “ scambio generoso e gratuito” ed il loro modo intimo di comunicare : due disperate solitudini. Questo film ricorda l’Ultimo Tango a Parigi, in cui tutto funziona fino a che non si apre bocca, non ci si parla, non si cerca di sapere qualcosa l’uno dell’altro, si vuole qualcosa di più , ma forse quel volere cercare qualcosa di più è troppo se non si è in grado di sostenerlo e la famiglia è si un valore , ma anche un idillio sociale. In Bertolucci nel 1972, ci voleva essere provocazione , sulla famiglia, sui rapporti uomo-donna, oltre che solitudine ed incomunicabilità , c’era anche compiacimento estetico , qui non c’è nessun compiacimento estetico, non c’è bellezza, qui c’è disordine, c’è una macchina da presa in spalla, che destabilizza e trasmette tutto il malessere dell’animo. Qui c’è più angoscia, più disagio, perché non c’è provocazione, come in Bertolucci, ma la triste constatazione di una realtà, la constatazione della sconfitta, la mera constatazione di quanto sia difficile costruire quell’idillio sociale che si chiama famiglia e di entrare in intimità con noi stessi e con il coniuge, dato che l’ intimità, non è solo sessualità; è anche condividere la vita in tutti i suoi aspetti, sociale, emozionale, mentale, spirituale. L’intimità fisica fra un uomo e una donna è un dono d’amore , se non c’è questo dono allora diventa un atto d’invasione. Se è vero che la nostra intimità è inviolabile e per il credente appartiene a Dio ed il coniuge è un dono di Dio a cui noi doniamo noi stessi, il coniuge non può solo dirci “Ti amo” , perché ti amo è un verbo e si può coniugare in tempi diversi , ” Ti ho amato” , “Ti amavo”, “Ti amo”, “Ti amerò”. Il matrimonio suppone invece non un azione che può cambiare nel tempo , ma uno stato di fatto, un “Io sono” , un “ Io sono l’amore” , ossia un io ci sono e ci sarò sempre per te qualunque cosa avvenga e qualunque cosa tu faccia ci sarà sempre un perdono. Ma invece questo film ci sbatte in faccia quanto tutto questo sia difficile o possa anche non esistere. Questo film, d’ altro canto, anche , ci esorta, o sembra suggerirci, di non accettare i compromessi di comodo per quanto pericolosa possa essere la disperazione e la solitudine. Pericoloso per noi stessi è anche vivere nella menzogna e nella solitudine dentro di noi e condurre una vita di comodo, ma che ci fa sentire vuoti. Se si pensa così , come la pensa anche Hanif Kureishi, si potrebbe allora ricordare cosa lui ha scritto nel suo romanzo Intimacy “lasciare delle persone non è la cosa peggiore che puoi fare loro. Può risultare triste, ma non deve obbligatoriamente essere una tragedia. Se non si lasciasse niente o nessuno, non ci sarebbe spazio per il nuovo. Naturalmente andare avanti è un'infedeltà verso gli altri, verso il passato, verso una vecchia nozione di se stessi. Forse ogni giorno dovrebbe prevedere almeno un infedeltà essenziale o un tradimento necessario. Sarebbe un atto ottimista , un atto di speranza , che garantisce fiducia nel futuro , la prova che le cose possono essere non solo differenti, ma migliori.”
La colonna sonora che accompagna il film con le canzoni dei Clash, Nick Cave, Iggy Pop , David Bowie,
rendono molto bene l’ambientazione della Londra, grigia, periferica, moderna ed ” Underground “ diventando insieme alla città anche la rappresentazione dello stato d’animo dei personaggi. Da segnalare inoltre la presenza di Marianne Faithfull, cantante (vedi l’album Broken English del 1979) /attrice (vedi il pluripremiato Irina Palm), ormai nonna quasi settantenne, ma reduce da un passato disperato , icona di una Londra di “outsiders” come buona parte dei personaggi del film.
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