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Ant-Man and the Wasp: Quantumania

Regia di Peyton Reed vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ant-Man and the Wasp: Quantumania

di lussemburgo
6 stelle

Non ha forse tutti i torti Scott Lang quando, al termine del film, dopo l’apparente lieto fine, viene assillato dal dubbio di aver agito bene. Ed è la domanda che si pone anche lo spettatore, giunto alla fine della IV fase del MCU e all’inizio della V, su quale sia il senso dei film Marvel successivi ad Endgame, se non quello di creare strani mondi in cui far agire idifferenti protagonisti, secondo una logica uguale e opposta a quella che aveva governato l’inizio dell’avventura cinematografica dei supereroi creati da Stan Lee, ovvero costruire una dinamica centrifuga, spesso di ambientazione poco terrestre, con pianeti (o dimensioni) distanti e universi diversi, dove parcellizzare le azioni degli eroi grazie al polivalente concetto di Multiverso, punto focale della fase IV.

Tra morti annunciate e la continua eliminazione dei personaggi residuali degli esordi, con lo spostamento di molti altrinell’ambito seriale televisivo, ormai del tutto complementare a quello cinematografico attraverso la piattaforma esclusiva Disney+, lo stuolo dei fondatori degli Avengers si va assottigliando pericolosamente, tanto che i superstiti, come lo stesso Scott a inizio film va sottolineando, vivono di fama postuma, come i protagonisti di un mondo che fu e su cui conseguenze non hanno più presa.

Tra quelle due parentesi in voce off dell’eroe in miniatura, che accendono la fiammella metacinematografica di un’evoluzione in atto dell’universo narrativo di cui è parte, il film sviluppa una trama avventurosa abbastanza banale di liberazione di una comunità dall'oppressore, in cui si diluisce l’inclinazione alla rom-com del regista, pur moltiplicata nella doppia coppia di coniugi, più o meno litiganti, e con netta prevalenza della componente femminile per consapevolezza di sé e delle proprie possibilità. A questo si aggiunge la commedia familiare, con il coinvolgimento, ormai completo, della figlia di Scott, desiderosa di avventure, che si unisce alla doppia coppia di eroi per imporre una dinamica generazionale più accesa (con la complicità del quasi nonno Pym). Tra amanti confessati, tentazioni perdute, tensioni macho presto perse, rivalse femministe in extremis, la storia avanza alla scoperta di un mondo sommerso, variopinto e fantasioso, di esseri strani e apparenze umanoidi.

A dispetto di qualche accenno di ironia citazionistica, come il riferimento a Ghostbuster sia nella scatola acchiappa-eroi iniziale che nella presenza sorniona di Bill Murray, così come nella natura gelatinosa di alcuni esseri, la commedia, romantica o avventurosa, affanna e rimane contingentata in pochi momenti sparsi, dispersi nel confronto tra il folle Conquistatore e i volitivi eroi, con la massa di oppressi infine uniti per la riscossa. Il tono di prevalente leggerezza che il regista vorrebbe imporre, si incaglia nell’ennesima costruzione di un mondo altro e nella successione di battaglie e distruzioni.

Dopo i metaversi esplorati dal Dottor Strange, ma introdotti in precedenza da Loki nell’omonima serie, da cui mutua anche l’antagonista, un ennesimo universo psichedelico intrappola gli eroi e si dimostra un sorprendentemente sovraffollato contenitore di altre avventure e personaggi, sempre più lontani dalla dimensione terrena e quotidiana. Nella dispersiva diaspora dei personaggi Marvel, l’unico elemento centripeto e ricorrente sembra essere quello della costruzione e introduzione dei nuovi vilain, fulcro e costante di tutte le più recenti pellicole, tanto che anche il terzo capitolo delle avventure dell’uomo-insetto termina col cartello che, con bondiana memoria, avverte del ritorno prossimo della figura considerata più interessante, ovvero il cattivo, quel Kang in Conquistatore già visto (e rivisto qui nel sottofinale) in Lokicome signore del tempo e governatore del metaverso, genocida di qualsiasi variante di creati non confacenti al suo volere, con la complicità di ogni versione di sé, secondo un’esplosione parossistica, letterale e demenziale, di moltiplicazione del proprio ego, in ogni sua possibile espressione e variazione.

All’interno di una certa stanchezza generale, visibile nell’attrito tra la leggerezza della materia domestica e la pesantezza del materiale fantastico, si aggiunge anche il riuso di personaggi secondari intrappolati in forme corporali grottesche (il Calabrone che diventa MODOK), ci sono alcuni riferimenti laterali al contiguo universo Disney di Star Warsforse involontari, per lo scambio di interpreti con The Mandalorian e per attinenze scenografiche (il buio mondo imperiale di Kang somiglia al pianeta-città di Coruscant, ritratto di recente sia in Mandalorian che in Andor).

Commedia appannata (del rimatrimonio, familiare, della crisi di coppia e generazionale) nonché timido tentativo di rilettura critica di sé, Quantumania si trova a suo agio in una quotidianità che la Marvel non sembra però voler più coltivare (sul grande schermo), proseguendo nel sacrificio del protagonista (a cui si nega, qui, lo stesso status di super-eroe), che accumuna i più recenti titoli del MCU, e nella definizione di svariate e temibili nemesi, sulla falsariga di un irripetibile Thanos, supercattivo con superproblemi, che era un vero antagonista degli Avengers perché, come loro, terribilmente umano.

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