Regia di Roman Polanski vedi scheda film
31 dicembre 1999. In un lussuosissimo albergo svizzero arrivano alla spicciolata i tanti aristocratici, uomini d'affari e plutocrati che vogliono festeggiare il cambio delle quattro cifre sul calendario. Mentre Eltsin, con un coup de théâtre degno della gradazione alcolica a cui era abituato il suo cervello, consegna la Russia a Putin, nelle stanze, nelle sale e nei corridoi dell'albergo assistiamo alla transumanza di uomini e donne plastificati, di anziane sull'orlo di una crisi di nervi e di avidi sfruttatori. Per il direttore dell'albergo (Masucci) e per i suoi collaboratori si annuncia una serata alquanto complicata.
Abituato a stazionare perennemente in Svizzera, il novantenne Roman Polanski gira in stato di cattività, con unità di luogo e di tempo, un film sotto l'egida produttiva di Luca Barbareschi (qui anche nei panni di "attore"), autentico Re Mida al contrario del nostro cinema. E infatti la satira non va oltre il livello del Bagaglino e il regista di capolavori come Il pianista e Rosemary's Baby sembra divertirsi giocando sul registro scatologico, dei doppi sensi a sfondo sessuale (con tanto di amplesso tra un cane e un pinguino) e su gag che nemmeno gli slapstick di un secolo fa. Sicché The Palace finisce col sembrare il peto creativo e fuori tempo massimo di un vegliardo che vorrebbe schernire con pallettoni a grana grossissima il #metoo che tanto lo ha messo in croce, divertendosi a dire cacca pipì e pupù. Ma, al di là della mano di un regista che sa come confezionare anche il più misero dei prodotti, il film non va oltre il farsesco, finendo con l'essere il disonorevole suggello - con tanto di riciclaggio di attori dei sui film cult e autocitazioni - a una carriera che avrebbe meritato ben altro sipario.
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