Regia di Roman Polanski vedi scheda film
FESTA DI VENEZIA 80: FUORI CONCORSO È la vigilia di Capodanno, ma non un fine anno qualunque: siamo agli sgoccioli del 1999, e dunque l'anno e il secolo, ma anche il millennio nuovo, apporteranno variazioni radicali già solo alle quattro nuove cifre che caratterizzeranno il nuovo anno.
Presso un lussuoso hotel di montagna in Svizzera, un organizzato direttore si appresta a fare le ultime raccomandazioni prima che la grande macchina operativa che mette in moto il grande albergo inizia le due complesse manovre che termineranno col nuovo millennio. L'efficiente capo non dimentica di rassicurare sugli effetti catastrofici previsti dai fautori del millennial bug e dagli altri strambi veggenti da fine del mondo.
Non aspettandosi che gli ospiti che stanno arrivando, si riveleranno nel complesso ancora ben più difficili da gestire.
Tra vecchiacce tirate come vecchie bambole di pezza, mafia russa che festeggia le dimissioni di Eltsin e la nomina di un Putin che si proclama moderato e fautore di democrazia e libertà tra o popoli, tra anniversari di matrimonio che coinvolgono un novantenne milionario e la sua paffuta sposa venticinquenne, tra cani indisposti, pinguini tra i corridoi, ricchi uomini d'affari in procinto di lucrare sul finire del millennio, figli proletari che giungono inaspettatamente, il lavoro del povero staff si rivelerà massacrante.
Due vecchiacci polacchi arzilli e caustici come Polanski e Skolimowski si riuniscono dopo quasi sessant'anni dalla loro prima collaborazione con Cul de sac, e, ispirati alle singolari situazioni che lo stesso Polanski notò frequentando un lussuoso hotel svizzero nelle feste natalizie, danno vita ad una sorta di sarcastica e caustica riproposizione d'autore del cinepanetrine italico tanto apprezzato proprio a fine millennio.
The Palace è una sorta di "Vacanze di Natale" al vetriolo, come un Vanzina o un Neri Parenti di turno non hanno mai nemmeno sognato di poter concepire e sfornare per la fruizione cinematografica di massa di fine anno.
Un film scientemente vecchio e datato nella ambientazione, incentrato sull'esterno conflitto di classe che oppone i pochi ricchi viziati ai molti poveri costretti a servirli.
"Un ricco non dà la mancia perché proprio grazie a questo è riuscito a diventare ricco".
Polanski dirige un film tecnicamente elementare, tutto gag e scenette veloci, tutto incentrato sull'orrore di invecchiare e sulla mostruosità dell'arricchirsi.
Cattivo gusto a profusione, decadenza e lotta di classe rimandano inevitabilmente al furbo e ruffiano Triangle of sadness, ma il tocco del grande vecchio regista esaspera il ritmo delle gags e rende tutto più semplice, più diretto, meno forzato e più schietto del sin troppo celebrato e lodato film di Ostlund, con la sola colpa di arrivare secondo in ordine di tempo.
Co-prodotto anche dal nostro paese e da Luca Barbareschi, che, quasi irriconoscibile interpreta anche il ruolo di una ex pornostar ospite tra la clientela eletta, The Palace ci fa ritrovare, tra gli altri, un John Cleese ultraottantenne divertentissimo e nuovamente seminudo a trentacinque anni dal suo esilarante spogliarello nel trascinante, indimenticato Un pesce di nome Wanda.
Mickey Rourke, con le sue mani enormi e le sue inquietanti unghie ad artiglio ereditate probabilmente da De Niro sul set di Angel Heart, si rivela non più inquietante di quanto appaia dal vivo e si limita a riproporsi in versione "neorealista", stavolta senza cagnetti, affidati invece ad una Fanny Ardant completamente devastata dalle diarree del suo giocattolo di pelo, e solo parzialmente consolata dal giovane idraulico di turno.
Polanski si autocita tramite il personaggio di Barbareschi ferito al naso e tamponato come un Jack Nicholson in Chinatown, e riproponendo una Sydney Rome cinquant'anni dopo Che!, rendendo palese quanto devastante sia la vecchiaia, soprattutto per chi è stato bello da rasentare la perfezione e si ritrova a fare i conti con la maschera grottesca di ciò che fu.
Pur non potendosi, né per ambizioni, né per sforzo produttivo, né tantomeno per risultati artistici minimamente paragonarsi ad un'opera d'arte come L'ufficiale e la spia, The Palace ci conferma tuttavia che la sferzante satira del grande cineasta novantenne funziona ancora, nonostante qualche riserva, ed un finale decisamente frettoloso e un po' troppo sospeso.
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