Regia di Alexander Payne vedi scheda film
Trovo seducente l'idea di condividere con poche persone un periodo circoscritto di tempo ed uno spazio ben definito. Se il luogo separa a sufficienza dalla realtà esterna c'è la possibilità di stringere nuove amicizie o aprirsi ad un confronto che altrimenti si eviterebbe volentieri. "The Holdovers" offre tutto ciò che serve per affrontare una convivenza (indesiderata) e metabolizzare l'opportunità di un incontro (scontro) dal valore altamente formativo. La scuola chiusa per le vacanze mette sullo stesso piano i pochi alunni rimasti in collegio ed i loro guardiani. Il grande istituto deserto, una manciata di ragazzini in preda agli ormoni, un insegnante misantropo e la capocuoca, che altra casa non ha, costituiscono, dunque, gli ingredienti di una reclusione che mi ricorda un'esperienza vissuta qualche lustro fa, ovvero un campeggio in montagna, con soli otto compagni e scarso entusiasmo iniziale.
Il tempo necessario a rompere il ghiaccio e poi si concretizzò l'opportunità di gustare esperienze comuni ed, infine, quella di comprendere dubbi, ansie e desideri che ci rendevano più simili di quanto credessimo.
Qualcosa di molto simile succede all'ermetico professor Hunham, al giovane brillante Angus Tully, e alla cuoca Mary Lamb che nel nuovo film di Alexander Payne declinerebbero, con piacere, l'invito del preside di spartire gli spazi vuoti ed ingombranti della Barton, scuola per viziati figli di papà del New England. Tully vorrebbe essere in mille altri posti, Hunham preferirebbe la compagnia dei suoi libri e Lamb rimarrebbe sola, in compagnia del suo lutto, piuttosto che raffazzonare pasti per bocche sciape e lamentose.
La vita, tuttavia, è tremendamente beffarda e regala per Natale ai tre protagonisti l'opportunità di conoscersi meglio e di abbattere, per pochi giorni almeno, le differenze culturali e di censo che separano le loro vite. Tully è ricco, Hunham è un vecchio libro ingiallito mentre Lamb è una donna in una scuola di uomini, è nera e conduce una vita modesta. Sempre un passo indietro, rispetto ai due maschi, sia per condizione economica quanto per preparazione accademica, senza dimenticare la questione razziale su cui Payne non si sofferma troppo nel suo cinema tattile e sentimentale.
"The Holdovers" mette insieme tre differenti solitudini, accomuna la mancanza di un padre alla tragedia di un figlio scomparso e all'assenza di una famiglia, quella che Hunham non s'è mai costruita. Il film di Payne si sviluppa nei frequenti alterchi tra professore e studente, si sbronza dello scotch della temporanea amnesia, sbraita il dolore della perdita e sbatte in faccia a ciascuno il sereno appassimento della solitudine. Ma quando la neve si scioglie intorno ai cuori di Angus, Paul e Mary, le emozioni iniziano a scorrere rendendo possibile una convergenza tra vite parallele.
Alexander Payne è bravo a non calcare troppo la mano, a mescolare il riso ed il pianto, mentre i suoi attori occupano le inquadrature e gli spazi dell'innevato New England. La corpulenta Da'Vine Joy Randolph rivela solamente l'afflizione che la guerra del Vietnam le ha recapitato in una bara foderata di stelle e striscie mentre il talentuoso Paul Giamatti lascia alla dialettica colta e sarcastica di Hunham di tracciare le linee del proprio personaggio, evitando, se possibile, inopportuni paragoni con il professor Keating e con Robin Williams. Ma è lo zoomer Dominic Sessa, nel panni del giovane Angus, la sorpresa che neutralizza l'ingombrante carisma del collega Giamatti e la fisicità schiva e insofferente di Randolph mostrando tutte le insicurezze ed il giovanile entusiasmo del suo gracile Angus.
"The Holdovers" è un film di attori e gode dalla mano leggera del regista che continua il suo percorso nell'intimità di uomini e donne ricreando, stavolta, gli Stati Uniti al bivio di inizio anni '70, con le luci di un cinema parco ed essenziale, la musica malinconica ed evocativa di sentimenti e situazioni di quel passato e la perfetta ricostruzione di luoghi e costumi. Payne colloca il suo sogno di una scuola innovativa e formativa in un luogo della storia in cui si sente l'onda lunga della contestazione e le dispute intorno ai diritti civili e alle diseguaglianze sociali. E su tutto pone lo spauracchio del Vietnam che invade le incredule vite dei ricchi procurando un tedioso fastidio.
A rendere il risultato meno pieno, a mio avviso, ci pensa la conclusione della storia, questa sì troppo vicina all'illustre "Attimo fuggente". Il finale è sovraccarico di responsabilità e mi chiedo fino a che punto un insegnante debba essere crocefisso per appianare la strada dei propri studenti ai quali, forse, qualche ostacolo da superare da sé servirebbe a maturare. Detto questo è pur sempre vero che chiusa una porta si apre un portone per ciascuno di noi, per Angus, Mary e persino per Il solitario Paul a cui la vita deve ancora raccontare il futuro, quello che non si apprende dai libri di storia ma dalla voglia di vivere e di mettersi, continuamente, in gioco.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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