Regia di Alexander Payne vedi scheda film
Gli holdovers del titolo sono i trattenuti, sei ragazzi di un liceo esclusivo di Barton, nel New England, ai quali si somma un loro insegnante (Giamatti, irresistibile) a cui - non avendo famiglia - è toccato il compito di vigilare su di loro durante le vacanze natalizie del 1970. Ma cinque dei ragazzi a un certo punto riescono a squagliarsela e l'unico che rimane è uno studente tanto intelligente quanto difficile (Sessa, perfetto). Così, a fare compagnia alla strana coppia - perennemente in punta di punzecchiatura - c'è anche una cuoca di colore (Randolph) che ha da poco perso il figlio in Vietnam, dove era andato a combattere per raggranellare qualche spicciolo. Tra queste tre solitudini si stabilirà un rapporto ben distante dalle premesse.
Ricorrendo a un'estetica anni Settanta, il regista Alexander Payne gioca sul sicuro miscelando il tema del professore-mentore che prende coscienza delle zone d'ombra del suo ruolo con quello del road movie, un espediente - quest'ultimo - che lo stesso autore aveva già usato in Sideways e Nebraska. Sicché tutto sa un po' di già visto (sul modello de L'attimo fuggente e Will Hunting - Genio ribelle), con abbondanti dosi di retorica e un finale telefonato. Nonostante ciò, il film tocca vette sublimi di scrittura, grazie a dialoghi che, nell'affilatissima lingua del professore - un uomo peraltro fortemente strabico e colpito da una malattia che lo rende costantemente maleodorante e perciò ancora più inviso a colleghi e studenti - lo fanno sembrare un maggiore Hartman (quello di Full Metal Jacket) in sedicesimi, con quella commistione perfetta di sarcasmo e creatività irrisoria ("lei è un cancro al pene dalle sembianze umane": così apostrofa il preside della scuola). Quanto basta per godersi un film decisamente prolisso, ma interpretato superbamente.
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