Regia di Alexander Payne vedi scheda film
"The Holdovers" è la quintessenza del Cinema di Alexander Payne. Perfino la neve, Boston, il liceo Burton, prima che i personaggi, hanno l'impronta di Payne, del suo sguardo profondamente Cinema americano anni settanta, che ha già sfornato almeno tre gioielli, prima di questo: "Sideways", 2004, "The Descendants", 2011, e "Nebraska", 2013. Con "The Holdovers" probabilmente centra il film della vita, pur non essendo, a mio parere, il suo film migliore. "The Holdovers" è puro modernariato anni settanta, tutto è vintage, a partire dai titoli. Il film è trascinato da un Paul Giamatti straordinario, giustamente candidato ai prossimi Oscar, burbero professore di Storia in un piccolo liceo per figli di papà, all'alba dell'anno 1971. La vicenda si svolge in un pugno di giorni, prima, durante e dopo le feste di Natale, in cui la scuola si svuota, tranne che per alcuni studenti, che per un motivo o per l'altro, sono costretti a rimanere. L'odiato professor Hunham dovrà badare a loro. Se la prima parte del film non mi ha detto granché, piena zeppa di cliché, è la seconda, quando la vicenda si fa piccola e intima, quando i protagonisti principali rimangono in tre, che il film decolla, che Payne può dare il meglio: nessuno come lui è capace di gestire cinematograficamente, oggi, questi piccoli baratri esistenziali, queste gentili sinapsi che si creano, a base di solitudine, liquori, sguardi e sentimenti, riuscendo a fermarsi un attimo prima che diventino melassa. E allora, fra musica di quel tempo là, (The Chambers Brothers, Cat Stevens o ABB), e carole di Natale, il Vietnam che spoglia l'America della gioventù più povera, davvero il film arriva dove deve arrivare, finalmente non è più solo legna per la nostalgia, ma diventa un altro bel gioiello di Payne. Un film sentimentale senza esserlo davvero, una commedia garbata e dolce sull'America, che ha il passo di un brano di Simon & Garfunkel ascoltato in una notte di neve.
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