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The Holdovers - Lezioni di vita

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su The Holdovers - Lezioni di vita

di YellowBastard
7 stelle

Era da diversi anni che Alexander Payne non riusciva a centrare un film così soddisfacente come The Holdovers - lezioni di vita, una specie di remake di un vecchio film francese del ‘35, Merlusse (in italiano Vacanze in collegio) di Marcel Pagnol,

che Payne vide in un festival rimanendone ammaliato e chiedendo all’esordiente David Hemingson, di cui aveva letto il pilot per una serie poi mai realizzata, di scrivergli una sceneggiatura partendo dalle premesse proprio dal film di Pagnol (di cui riprende anche i problemi fisici di Paul) e applicandovi sopra i suoi personalissimi filtri (in primis il cinema degli anni’70) e i suo ricorrenti temi, come la famiglia non sorretta dai legami di sangue ma dalle affinità e dalle comuni privazioni (vedi la citazione da Il piccolo Grande Uomo).

 

The Holdovers': Toronto Review | Reviews | Screen

 

Il significato del titolo originale in inglese può essere tradotto come “i trattenuti”o “quelli che restano” ed è una straordinaria storia di formazione nel solco della grande tradizione del racconto americano, tra Il Giovane Holden e L’attimo fuggente di Peter Weir, il Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant ma anche il cult giovanile Breakfast Club di John Hughes (ma in un liceo privato ed esclusivo per giovani riccastri), ripercorrendo orgogliosamente le immagini e la narrativa della New Hollywood degli anni’70, da Hal Ashby a Arthur Hiller, ovvero quel cinema con cui Payne è cresciuto.

 

I titoli di testa sono programmatici in tal senso, aprendosi con il logo della Universal degli anni’70 e dai logo retrò (finti) della Miramax e della Focus, produttrici del film, e riproponendone le immagini dell’epoca, dai colori alla pellicola rigorosamente in 35 mm.

Il film, infatti, non solo è ambientato negli anni ’70 ma ne ricalca anche i dettami e i crismi del periodo, tra filtri e graffi o zoom improvvisati e ridottissimo campo-controcampo, e le immancabili canzoni malinconiche dell’epoca a ricrearne in maniera convincente le atmosfere.

 

Asciutto ed essenziale, mai melenso, quello dell’autore del Nebraska è un cinema fatto di persone ai margini, di cattivi che non sono mai troppo cattivi, e di un umorismo anche feroce ma che non cade mai nella retorica o in un’enfasi fine a sé stessa.

The Holdovers è la storia malinconia di tre solitudini che inaspettatamente costruiscono tra loro un legame, seppur per breve tempo, forse anche fragile ma, soprattutto, profondo, per un cinema che scava nei personaggi con la scrittura e li delinea attraverso le sfaccettature, i difetti o le mancanze ma dove la malinconia non sfocia mai in tristezza, riuscendo a metterne a fuoco le solitudini e gli affetti di un trio agli antipodi, un giovane ribelle depresso, un vecchio burbero frustrato solo apparentemente cinico e una donna nera in lutto per la perdita del figlio, forzatamente insieme.

 

Il prof, la cuoca e lo studente ci danno grandi “lezioni di vita” in “The  Holdovers” - Il Fatto Quotidiano

 

Molto apprezzato dalla critica americana, il nuovo film di Alexander Payne ha anche vinto ai recenti Golden Globe la statuetta per il Migliore attore protagonista di commedia o musical a Paul Giamatti e quello di Migliore attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph dopo che aveva trionfato, nella stessa categoria, anche al Critics Choice Award.

Paul Giamatti aveva già un rapporto consolidato con Payne (era stato il protagonista nel suo Sideways) e il suo personaggio è evidentemente modellato sulla sua figura, anche caratterialmente, cosa che gli permette di brillare particolarmente.

A sorprendere però è anche l’esordiente Dominc Sessa, energico contraltare al dogmatico docente con il quale instaura una specie di scontro generazionale tra potere e visione del mondo.

Un trio di attori probabili protagonisti, specie i primi due, alla prossima edizione degli Oscar.

 

Rompendo consapevolmente molti dogmi del cinema contemporaneo, soprattutto americano, sfuggendo agli eccessi emotivi e a spiazzanti (improbabili?) colpi di scena o ripudiando il manicheismo celebrativo di una certa retorica in favore invece di un esistenzialismo imperfetto, indelebilmente segnato dalla disillusione e dalla sofferenza per un minimalismo (formalismo?) “celebrale” che però è anche (forse) il suo maggior difetto in quanto incapace di sconvolgere ma anche di travolgere lo spettatore, conquistato più con la testa che non con il cuore.

Che questo sia un suo limite?

 

The Holdovers' reviews: Is it an Oscars front-runner? - GoldDerby

 

VOTO: 7,5

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