Regia di David Fincher vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Ho deciso. Chiamerò il killer di David Fincher con il nome "George Jefferson". Ho perso la memoria degli pseudonimi sfoderati da Michael Fassbender ma ho scorto l'ironico accostamento tra quello utilizzato in banca e il nome del personaggio interpretato da Sherman Hemsley nelle serie "Arcibaldo" e i "Jefferson". Come avrebbe detto del suo orgoglioso alter ego "Jefferson è un "imprenditore negro", un self made man che ha fatto i soldi lavando panni sporchi. I soldi c'entrano dappertutto e si trasferiscono ovunque. Eccoli allora transitare dal conto newyorkese di una rispettabile banca a quello caraibico del signor Jefferson, un lavandaio ed uomo d'affari di altra natura ed altro colore. Stretta di mano e pronti a lavare il denaro, rosso di sangue, in un paradiso fiscale dove una nuova catena di lavatrici è sempre pronta a ripulire il bucato dei bisognosi. Di questo, e di altri divertenti episodi, David Fincher fa la propria firma. Non è forse ironia la stessa vendetta? Verso tal sentimento si fa strada George Jefferson, una rispettabilissima vendetta la sua, va detto, perché lui, il killer, non è tipo da farsi coinvolgere, sul piano emotivo, non sul lavoro, almeno. Ma se la vendetta cova sotto uno spesso strato di purissimo odio può considerarsi vendetta quel sentimento che fa schizzare i battiti del cuore dell'assassino? Non metterei in discussione l'amore per la chica domenicana, se non altro per innato romanticismo, ma sospetto che l'azione del killer sia dovuta al fastidio provato per la sicurezza violata del proprio rifugio. Quanto poco ci vuole per passare da predatore a preda? Una frazione di secondo, un gesto inaspettato e boom il proiettile si conficca nel corpo sbagliato. Mr Jefferson da eliminatore diventa eliminabile e via a dargli la caccia. Ma ogni preda, dotata di raziocinio, sa bene che farà, prima o poi, la fine che le è stata imposta, se non si elimina il cacciatore. Un uomo come il killer, perfettamente in grado di mantenere il controllo su ogni variabile del gioco non può rimanere a guardare. Ogni traccia del proprio errore va eliminata.
Mi aspettavo da Fincher un concitato susseguirsi di colpi di scena, ritmo adrenalinico e un uomo braccato pronto a tutto per portare a casa la pelle. Non è così. Il regista di "Seven", più interessato al "come" che al "perché", si sofferma abbondantemente sull'attesa, la pianificazione e la noia insopportabile che precede e segue un lavoro. Fincher sembra chiedersi "come si comporterebbe George Jefferson?" "Cosa farebbe in questa circostanza? ". Il regista pianifica ogni dettaglio ed il killer lo incoraggia ad "attenersi al piano" e " lottare quando necessario". Tenere un profilo basso, passare per un odiato turista tedesco a Parigi, gettare telefoni e targhe, spruzzare disinfettante nei lavandini, diffidare di calzini blu a righe ed indossare guanti per non concedere indizi. E poi studiare percorsi, abitudini ed ogni possibile scenario. La pietà è debolezza.
Il regista è meticoloso quanto il suo uomo. La ricostruzione è precisa ed ogni tessera del mosaico si incastra perfettamente. Non mancano gli imprevisti ma Mr. Jefferson riesce a tenervi testa con pragmatismo e disciplina. La sceneggiatura di Andrew Kevin Walker è un perfetto mix di azione, sequenze comiche e millimetrica esposizione di strategie d'azione. La lotta con il "bruto" è spettacolare. È l'eccezione poichè ogni altra eliminazione suscita più curiosità che vera e propria tensione. I neuroni vengono sollecitati più dei muscoli che normalmente si contraggono al rumore di uno sparo ravvicinato. Fincher si chiede come farà l'assassino? E l'assassino risponde con una provvidenziale caduta ed un bidone dell'immondizia.
Tra orsi sporcaccioni, signore "cotton fioc" e improbabili utensili da cucina "The killer" vola da un aeroporto all'altro della vita alla continua ricerca di una effimera stabilità. Ognuno di noi è un killer, sembra suggerirci il film, continuamente impegnato a neutralizzare ogni imprevisto e a rincorrere la chimera della tranquillità. Ognuno di noi, un George Jefferson qualsiasi.
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