Regia di David Fincher vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 80 - CONCORSO
Un sicario zen cogitabondo si ripete mentalmente un mantra e filosofeggia in maniera nichilista sulla società, sta preparando il suo prossimo colpo (di fucile) e nel frattempo si racconta delle verità che, poi, sbagliato quel colpo, vedrà successivamente smentita dall'incedere degli eventi.
Il nostro serial killer in questo caso è forse il riflesso del lavoratore odierno, l'homo oeconomicus calato nella contemporaneità, alienato, apatico, che disinnesca l'emozione e il coinvolgimento personale per rendere sul posto di lavoro al meglio, illuso di avere il controllo su qualsiasi variabile esterna che possa ostruire il meccanismo di piena efficienza professionale. Nella realtà, capitalismo e consumismo incide eccome, e risalendo la catena di produzione ci si accorge quanto si è succubi di uno status quo immodificabile che si autoriproduce continuamente, che nonostante le frizioni e i sabotaggi esterni ha il potere di ristabilirsi sempre. Vivere la propria esistenza, immorale o retta che sia, senza alzare troppo la testa, diventa allora forse l'unico modo per sopravvivere o condurre un'esistenza quantomeno dignitosa, "attenendosi al piano", ad un copione o un mantra da samurai che non favorisca deviazioni verso organi caldi (zero cuore) e cercando di "non fare nulla di memorabile" per non essere fin troppo notati ai piani alti, consapevoli di essere comunque sempre sorvegliati e controllati. Il film nel presentarci un uomo che ha soppresso ogni emozione è esempio di perfetta aderenza tra contenuto e contenitore, perché Fincher, più che mai in passato, gira il suo noir con freddezza e la solita meticolosità: ha oliato il suo fucile con precisione chirurgica, ha sparato i suoi colpi con maestria, ha incassato il lauto assegno ed è sparito nella notte. In questo, Fassbender monoespressivo diventa veicolo prediletto di suddetti intenti, meglio di lui solo Ryan Gosling, ma c'ha già pensato Refn a più riprese. "The Killer" un domani potrebbe anche farsi manifesto di un autore che attraverso la sua produzione ha sempre esplorato meccanismi di potere, controllo e influenza. Ma, comprese le ambizioni in sede di sviluppo creativo e al netto di quanto si è concretizzato, è lecito anche chiedersi quanto un film di cotanta freddezza, talmente narcotizzato e con un protagonista che non è per nulla carismatico, dirompente o ironico/iconico nel suo eterno voice over monocorde (è dura dover tornare con la mente al Brad Pitt di "Ad Astra") sia in grado di ritagliarsi un posto nel cuore dei suoi spettatori, desiderosi magari di trovare una connessione umana o quantomeno intellettuale, soprattutto se il filosofeggiare del nostro antieroe rimane sintonizzato su frequenze elementari dove si reiterano sempre i medesimi tre concetti... in linea con i proponimenti ? Certamente, ma anche terribilmente sconfortante per un fruitore in cerca di una stimolazione riflessiva un pò più ficcante. Tanto che l'unica parentesi realmente action, quando lo stile controllato si frantuma in una lunga e devastante colluttazione, è anche la sola in grado di risvegliare lo spettatore da un'assopimento generale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta