Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Attraverso il deserto, l'elemento naturale si trasforma in un antagonista crudele e indifferente. La sabbia diventa una distesa infinita che inghiotte il coraggio e amplifica la solitudine, mentre il sole brucia i corpi e le illusioni. Qui, i paesaggi mozzafiato si contrappongono alla disumanità degli uomini incontrati lungo il cammino: poliziotti corrotti, trafficanti spietati, carcerieri crudeli. Ogni incontro diventa una prova, una ferita che segna il corpo e l’anima, ma che forgia anche la resilienza dei protagonisti. L’approccio di Garrone è quasi pittorico: ogni giorno una nuova tela, ogni scena un frammento di verità da scoprire, da vivere. I migranti, spesso relegati a numeri o ombre anonime nelle cronache quotidiane, qui trovano voce, volti e desideri. Garrone si china su di loro con uno sguardo rispettoso, tracciando una narrazione che si allontana dagli stereotipi per immergersi nella complessità della loro esistenza. Il film non si accontenta di narrare l’orrore del viaggio, ma ci invita a conoscere il punto di partenza: la vivacità di Dakar, i legami familiari, i rituali e i sogni condivisi. Questo contrasto rende ancora più lacerante il salto nell’ignoto, quando il paesaggio si trasforma e il mondo familiare si dissolve, lasciando spazio al deserto infinito e alle acque insidiose del Mediterraneo.
Seydou e Moussa, con il loro coraggio e la loro vulnerabilità, incarnano una generazione di giovani che, pur di sfidare l’immobilità, si lanciano in un viaggio tanto straordinario quanto spietato. Non si tratta di un semplice reportage, né di un freddo documentario. Il film si immerge nel cuore pulsante dell'epica contemporanea, in cui il desiderio di una vita migliore diventa una forza primordiale, capace di trascendere confini, culture e linguaggi. La scelta di raccontare questa storia nelle scuole non è solo auspicabile, ma necessaria: il film non si limita a narrare, ma educa, mostrando con immagini vivide la brutalità dei rischi affrontati da chi intraprende questo cammino. I pericoli narrati – il deserto implacabile, i centri di detenzione, il mare che non perdona – non sono racconti lontani, ma realtà quotidiane per milioni di persone. Eppure, Garrone non indulge mai in un’estetizzazione gratuita della sofferenza: ogni scena, anche la più cruda, è pervasa da una tensione etica che impone allo spettatore di guardare, di ascoltare, di comprendere. Non c’è spazio per il sensazionalismo, ma solo per una verità sussurrata con la delicatezza di chi sa che, dietro ogni tragedia, c’è una vita, un sogno, un nome. E allora, Io capitano diventa più di un film: è un invito alla consapevolezza, una finestra su una realtà che molti scelgono di ignorare. L’epica dei due giovani senegalesi si fa specchio delle grandi migrazioni del nostro tempo, ma anche delle battaglie interiori di ogni individuo che si trovi a scegliere tra la resa e la speranza.
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