Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Seydou e Moussa sono due cugini adolescenti che vivono a Dakar, in condizioni di povertà ma con le loro famiglie. Il loro sogno è lo stesso di tantissimi altri conterranei: scappare da lì verso l'Europa, anche se questo significa rinunciare alle piccole sicurezze quotidiane e andare incontro a un ignoto salto nel buio. Nonostante i numerosi avvertimenti e il parere del tutto contrario della madre di Seydou, i due ragazzini intraprendono il viaggio nel deserto verso nord.
Io capitano è il film definitivo da mostrare a chi proprio non riesce a empatizzare con i migranti africani – e non solo, si capisce, ma la storia qui narrata riguarda nello specifico due giovani senegalesi in fuga da una realtà di miseria, priva di speranze, verso la sognata Europa, terra delle possibilità e dei sogni che si realizzano. Ma forse neppure la visione di una pellicola così tosta e cruda, nel senso di iperreale, che non mette nulla in metafora, farebbe cambiare idea a chi non è capace di provare pietà; e la pietà è in effetti la vera protagonista occulta di Io capitano, undicesimo lungometraggio di Matteo Garrone a quattro anni di distanza da Pinocchio (2019). La pietà è ciò che manca in tutti gli uomini che Seydou e Moussa incontrano sul loro cammino, la pietà è quella che salva i due protagonisti dal divenire mostri al pari dei loro aguzzini, e di tanti dei loro compagni di sventura, annichiliti dalla disperazione della traversata infernale. Ma soprattutto Io capitano è esattamente il film che era da anni sulla bocca di tutti, ma che nessuno aveva mai osato realizzare, quantomeno in questi termini: semplicemente l'orrore, il male terribilmente banale cui sono sottoposti i migranti che arrivano dalle nostre parti in cerca del loro futuro, qualunque esso sia: ma di certo non può essere quello che si sono lasciati alle spalle. Efficaci Seydou Sarr e Moustapha Fall nei due ruoli centrali; la sceneggiatura si nutre di reali racconti di migranti riusciti a fuggire dai loro paesi e reca le firme del regista, di Massimo Gaudioso, di Andrea Tagliaferri e nientemeno che di Massimo Ceccherini. Da sottolineare qualche momento di grande impatto visivo (il segmento ambientato nel deserto, così come quello sulla nave) e un paio di divagazioni surreali che costituiscono gli unici momenti di lieve distacco dalla gravità della trama. 7/10.
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