Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Matteo Garrone è uno dei maggiori registi europei della sua generazione, uno dei pochi che abbia prodotto almeno un paio di capolavori come "Gomorra" e "Dogman", un cineasta dal percorso artistico fortemente originale che per fortuna è apprezzato anche all'estero. Con "Io capitano" Garrone torna al cinema umanista e antropologico che già dava nerbo a molte delle sue opere migliori, mettendo il dito sulla piaga dell'immigrazione clandestina, tema di fortissima attualità, e sulle tragiche disavventure di due ragazzi senegalesi che decidono di lasciare il loro Paese per tentare la fortuna in Europa, ma che saranno posti di fronte a prove durissime già durante l'esodo africano. Il film è una cronaca episodica di ammirevole realismo a tratti semidocumentaristico, con cui Garrone leva la sua voce in difesa degli oppressi, senza spiegare tutte le motivazioni che stanno alla base delle scelte dei personaggi (il desiderio di fuga dal Senegal genera reazioni molto negative nei familiari e nel sacerdote, ma viene dato per scontato, non viene motivato, e francamente non vedo dove sia il problema di questa scelta). Il racconto è narrato con buona compattezza di ispirazione, con una scrittura che evita inutili orpelli, con una resa figurativa che attesta nuovamente la bravura di Garrone e del suo direttore della fotografia Paolo Carnera nel riprendere gli sfondi africani in maniera lontanissima dalla cartolina estetizzante. A mio parere Garrone ha fatto bene a evitare di coinvolgere in maniera diretta la politica europea, il ruolo delle ONG ecc., perché il suo vuole essere semplicemente un racconto del fenomeno migratorio vissuto dall'interno, fregandosene di un dibattito socio-politico che finora non è riuscito a risolvere il fenomeno e nemmeno a suggerire possibili vie alternative per evitare che così tanti uomini e donne partano in massa dai paesi africani in condizioni spesso disperate e affrontando rischi terribili. Garrone ha diretto un film in una lingua credo a lui sconosciuta come il wolof e in buona parte anche in francese, facendo affidamento sul proprio talento di direttore di attori nel valorizzare la recitazione degli esordienti Seydou Sarr e Ibrahima Gueye', il primo dei quali ha vinto meritatamente il premio Mastroianni come miglior esordiente a Venezia. Mi sembra un po' ossessivo il cosiddetto "product placement" di un noto marchio sportivo (non è una polemica contro di esso, per carità, è anche il mio preferito al momento) i cui prodotti, felpe e tute, vengono fatti indossare ai personaggi praticamente in tutte le scene, e sul barcone ci ritroviamo praticamente tutta la folla disperata inguainata in tute dell'Adidas. Caro Matteo, va bene pubblicizzare un prodotto, ma in maniera così sfacciata non è un po' eccessivo? Nel complesso un ottimo film che forse non ha raccolto il consenso che meritava a Venezia, ma ben diretto e ben realizzato, un cinema maturo e intelligente che si spera possa sensibilizzare il pubblico più ampio a un discorso di bruciante urgenza sociale.
Voto 8/10
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