Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
L'abitudine rassegnata alle continue ondate migratorie, che sospingono una moltitudine di disperati verso le "patrie sponde", ci ha reso insensibili, chi più, chi meno, a quanto succede nei nostri mari. Siamo poco interessati a comprendere le origini del fenomeno che ci viene dato in pasto dai media, a ritmo incalzante, durante l'estate. La punta di un iceberg, si direbbe. L'ultimo miglio di un viaggio della speranza, pieno di insidie, che si conclude con la traversata del mare nostrum ma che, in realtà, inizia molto prima nel cuore dell'Africa nera.
La rotta dei barconi, dunque, è un fenomeno che fa sempre meno notizia, endemico come un banalissimo raffreddore. Preoccupati dalla quotidianità finiamo per non fare più caso a quanto succede e mettiamo tutto nel calderone delle "bad news" che i telegiornali ci vomitano addosso ogni giorno.
Ode, quindi, a quanti, con coraggio, provano a sensibilizzare le coscienze con opere incentrate su temi indigesti e apparentemente irrisolvibili come questo. Tra costoro occupa un posto particolare il regista Matteo Garrone che ha raccontato il viaggio di due ragazzini senegalesi verso il sogno di una vita migliore in Europa. Il pubblico ha risposto positivamente, forse desideroso di comprendere ciò che succede prima dell'imbarco a Tripoli, prima della traversata in direzione Lampedusa.
"Io capitano" è un film festivaliero con un contenuto civile "pericoloso" che ha riscosso un buon successo di pubblico per aver cercato, e probabilmente trovato, una sorta di neutralità ideologica nella trattazione della materia. La scelta di Garrone di utilizzare le lingue dell'Africa, di rendere la videocamera più discreta possibile e di lasciare alle immagini il racconto dell'odissea sahariana rende il film attraente e scevro da facili ideologie. Votato ad un realismo magico e poetico "Io capitano" documenta il radicale e violento "coming of Age" dei giovani Seydou e Moussa, il passaggio dei confini coloniali dell'Africa nera e la pericolosa traversata del deserto del Sahara.
I due giovani cadono nella rete di funzionari di confine corrotti, trasportatori senza scrupoli e criminalità organizzata. Via via che la meta si avvicinava il viaggio si fa più drammatico e le violenze si amplificano quanto la sete di danaro di coloro che lucrano sulla disperazione dei migranti. Chi è meno forte soccombe tra le dune e coloro che arrivano in Libia approdano sulle rive del mare senza sostanze, pronti ad alimentare il mercato della schiavitù, del lavoro nero, dell'invisibilità.
Le sequenze più cupe sono ambientate nelle prigioni libiche in cui i migranti vengono torturati. È qui che a mio avviso Garrone mostra il fallimento delle politiche europee in materia di diritti umani e lo sperpero dei fondi confluiti nelle casse libiche per la "Gestione integrata delle frontiere". In questa parte, con le telecamere che entrano nei penitenziari gestiti dalla malavita il film si affianca idealmente al report di Andrea Segre contenuto ne "L'ordine delle cose". I due film mantengono, tuttavia, le distanze preferendo Garrone la documentazione del viaggio e un approccio vocato alla speranza, quella ingenua e volitiva di due giovanissimi ragazzi impreparati alla vita ma cresciuti molto in fretta.
Le immagini oniriche di Garrone raccontano dunque i sogni e la speranza. Il volo della "madame" delle sabbe è straziante. Dolce e riappacificante è il dialogo tra l'angelo e la madre di Seydou. "Io capitano" è molto bello soprattutto nella descrizione degli step che portano al raggiungimento della metà perché il modus operandi della criminalità organizzata e le ragioni che spingono le persone alla traversata, spesso un suicidio, sono per lo più oggetti misteriosi a cui la tv dedica poco spazio. Il film offre un esempio interessante sia delle une che delle altre. Moussa e Seydou, per esempio, non sono così "poveri" ed il loro desiderio non è trovare un lavoro dignitoso bensì di fare fortuna nella musica.
Le attività criminali, invece, possono essere prevedibili o peggiori di quanto riusciamo ad immaginare. Se è prevedibile trovarsi faccia a faccia con torture finalizzate a spremere i migranti di tutte le loro risorse economiche, più sorprendenti risultano altri aspetti come la facilità con cui il malaffare affida ad un bambino il timone di una nave. Una "politica aziendale" che ha dell'incredibile ma che in realtà rivela una machiavellica spietatezza ed una capacità di adattarsi alle mutate condizioni dello scacchiere, capacità che spesso le istituzioni non hanno.
La percezione di una regia politicamente neutra ha avuto peso, a mio avviso, sul passaparola e sul pubblico. Vi è, comunque, un accenno di polemica per la mancanza di umanità nei confronti dei migranti bisognosi di cure, lasciati in balia delle proprie condizioni e dei capricci del mare. Ma al di là dell'esempio citato il regista evita ogni esplicito riferimento alle attività delle ONG, ai pattugliamenti della Guardia Costiera, e agli screzi tra stati dell'UE. L'attenzione del regista romano è rivolta, in primis, al viaggio e poi alle persone che lo compiono. Il suo approccio è giustificato dalla necessità di entrare nell'anima del fenomeno dal basso, ovvero dal punto di vista di chi fugge alla miseria, piuttosto che dall'alto delle diatribe, spesso inutili e disumanizzanti, della politica. Ci si può interrogare se quello scelto da Garrone sia o meno il punto di vista corretto. Sicuramente è uno di quelli possibili e, certamente, è idoneo alla messa in scena, a tratti poetica del racconto. Personalmente, tuttavia, mi chiedo se la via intrapresa dal regista abbia reso giustizia a tutti coloro che sono morti in mare. Il tripudio del protagonista mi è sembrato esagerato, e sin troppo gratificante per lo spettatore la conduzione in porto dell'intero equiaggio senza che il mare reclamasse alcun tributo. È questo, in sostanza, l'unico appunto che muoverei al regista. Per il resto il film di Garrone è parabola, profezia, poesia e racconto di cronaca di sicura sostanza. (V.o.s.)
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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