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Io capitano

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su Io capitano

di Gangs 87
6 stelle

Seydou e Moussa sono due cugini, adolescenti, colmi di voglia di vivere e di sogni. Allietano la loro vita guardando video sui cellulari di vite migliori con cui alimentano quei sogni che, ad un certo punto, diventano talmente impellenti che è impossibile non seguirli. Così decidono di partire dal Senegal per raggiungere l’Italia, nonostante chiunque, intorno a loro, tenti di metterli in guardia dai pericoli e dalle illusioni.

 

Quanto vale un sogno? Quanto siamo disposti a rischiare per inseguirlo? Cosa siamo disposti a perdere per tentare, almeno di realizzarlo? Con il riflessivo senno di poi, conseguente alla visione dell’ultimo lavoro di Matteo Garrone, al momento in cui scrivo scelto per rappresentare l’Italia alla prossima edizione degli Oscar, sono queste le prime domande che girano nella testa. Garrone infatti decide di raccontare una storia di sopravvivenza non partendo da un bisogno ma piuttosto da quella che sembra una necessità, una impellenza che i protagonisti non riescono a non seguire.

 

Così facendo equipara la parabola di coloro che scappano da un destino di guerre e morte a coloro che decidono di dare voce ad un sogno; inconsapevoli e sprovveduti, come solo la giovinezza sa essere, Seydou e Moussa si lasciano tentare e finiscono in un vortice di situazioni pericolose che pur sovrastandoli, scalfiscono ma non distruggono le loro intenzioni rivolte a una vita migliore e, in un certo qual modo, apparentemente più facile.

 

Questo evidente contrasto tra la drammaticità del viaggio obbligato da affrontare, colmo di insidie e di pericoli, e la futilità dei motivi che conducono i due protagonisti ad intraprendere il “viaggio della speranza”, è elemento di disturbo e finisce per stridere non solo con l’idea collettiva legata al flusso immigratorio giustificato (a volte) solo perché legato a situazioni estreme e drammatiche, ma anche sulla supposta morale di fondo che il film dovrebbe trasmettere.

 

L’idea che aleggia per tutta la durata della pellicola è che Garrone abbia intenzionalmente voluto trasformare una realtà effettivamente poco nota, conosciuta ai più per “sentito dire” dai media o dalle rispettive fazioni politiche, in una favola nera, finora appetibile caratteristica del suo cinema, finendo però per inerpicarsi in una situazione emotivamente contorta che confonde lo spettatore, ragionevolmente turbato dalle vicissitudini violente e barbare che Seydou e Moussa devono affrontare ma, al contempo, incapaci di giustificare fino in fondo, le loro motivazioni.

 

Io Capitano è un film che differisce dalle aspettative. Un racconto vivo che osa fino ad un certo punto e che poi si addentra in un oceano speranzoso costellato da situazioni verosimili che si modellano in un surreale contesto perbenista in cui tutto è bene, tutto finisce bene e tutti sono buoni e bravi, trasfigurando l’amara realtà che purtroppo, più spesso di quanto si vorrebbe, trascina via sogni e speranze.

 

La virata perbenista che compare da un certo momento in poi, finisce per discostarsi dal cinema del regista conosciuto finora e intacca il crudo coraggio della prima parte che coinvolge, pur non emozionando mai, anche grazie alla suggestiva ambientazione che, insieme alla scaltra fotografia di Paolo Carnera, danno alla visione un valore aggiunto che garantisce quel coinvolgimento, già sopra citato, ma che purtroppo non basta a rendere la pellicola, che finisce nell'attimo esatto in cui forse doveva davvero iniziare, convincente

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