Regia di Roberta Torre vedi scheda film
Roberta Torre, brava regista siciliana, l'avevo lasciata anni fa al suo esordio "Tano da morire", che ricordo come una pellicola originale, colorata, anche se vorrei rivederla per giudicarla. La Torre ha avuto una carriera un po' ad alti e bassi e adesso torna con questo "Mi fanno male i capelli", che già per il titolo meriterebbe una visione. Il film è un omaggio all'arte di Monica Vitti, di cui si riprende appunto una frase di "Deserto rosso" nel titolo, attraverso la vicenda di una Monica affetta da una sindrome che implica la perdita della memoria e una sorta di "role playing" che la porta ad indentificarsi nell'attrice e a inscenare nella vita, soprattutto col marito ma anche da sola, una serie di situazioni ispirate ai suoi film. La Vitti è stata una delle nostre più grandi attrici, un'interprete di grande sensibilità che mostrò il suo talento sia nei capolavori di Antonioni, opere fondamentali per cui è ancora ricordata in tutto il mondo, sia nelle tante commedie all'italiana girate in seguito, che a mio parere non replicarono più i picchi artistici del maestro ferrarese, ma spesso sono buone occasioni per mettere in mostra una verve comica e istrionica di collaudata bravura (forse la sua migliore in questo settore resta "Dramma della gelosia" di Scola). Il film le porge un omaggio accorato e sincero in una forma molto insolita, una pellicola quasi senza trama, un'opera che vuole parlare di un vissuto femminile di alienazione e di solitudine che guarda all'attrice come un modello terapeutico che riuscirà sicuramente alla fine a curare alcune delle ferite, ma in termini cinematografici questa scommessa può dirsi davvero riuscita? La mia risposta sarebbe "abbastanza ma non troppo", perché su una durata già abbastanza breve di 80 minuti il film ha inevitabilmente qualche momento di stanchezza e alcuni cali nel ritmo, dovendo contare molto sulla buona disposizione di uno spettatore pronto ad accogliere la sfida della Torre e pronto ad identificarsi in un ritratto femminile dipinto con cura e ottimamente reso da una Rohrwacher che modula l'angoscia e l'abbandono di sé cercando un inedito rispecchiamento nella musa dell'incomunicabilita', che nella realtà soffri davvero della malattia di Alzheimer. Oltre ad una Rohrwacher che aggiunge in maniera assai convinta un nuovo tassello alla sua galleria di personaggi "disturbati" come lo fu quello del "Papà di Giovanna" di Avati, il film propone anche una buona performance di Filippo Timi nella parte del marito premuroso e spaventato, tanta Vitti, un pochino di Sordi e qualcosina di Mastroianni. Nel complesso un film che si rivolge a un pubblico un po' di nicchia, ma che ha le sue buone carte per piacere. Voto 7/10
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