Regia di Roberta Torre vedi scheda film
Si concede a Roberta Torre di essere una voce unica, anche e soprattutto dopo che “Rai Cinema” viene scolpito in quella scritta bianca su sfondo blu all’inizio di un film. In Roberta Torre si assiste a una permeabilizzazione del dramma come lo fa l’attuale scuola di cinema italiano - recitazione manierata, tra il naif e l’isterico - all’esperienza performativa, al palcoscenico, alla seduta spiritica. Come già ne Le Favolose: Torre rievoca il fantasma di Monica Vitti tramite immagini di repertorio, schermi che diventano specchi e specchi che diventano schermi, e il ridondante delirio della protagonista Monica, un’Alba Rohrwacher senza freni e ossessiva fino alla volgarità. Un film slabbrato, impreciso, non bello, pieno di morte e di feticismo, incapace di empatizzare con la follia e sempre frenato prima di perdere il controllo, troppo docile seppur nella coazione assillante di campi e controcampi, nella continua idea di ricordare che la protagonista è insana e dunque di portarci a un giudizio, a una posizione che renda la protagonista subalterna, ridicola ancor più che incomprensibile o impenetrabile. Si vive il nuovo film di Roberta Torre come si vivrebbe la frase del suo titolo senza il suo contesto antonioniano di riferimento: una frase ridicola che vuol dire poco, che direbbe solo un matto. Ed è quello che purtroppo rimane la protagonista del film, una semplice matta. Cinefila, ma (o forse quindi?) matta.
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