Regia di Franco Brusati vedi scheda film
In una tenuta romagnola ai primi del ’900, il figlio del padrone fa amicizia con quello del fattore (che è la voce narrante) e si innamora di una volubile cugina americana. Prima parte episodica, priva di un centro di gravità e con qualche svenevolezza di troppo; poi scoppia la grande guerra, e la situazione si evolve in modo drammatico: chi muore, chi parte per sempre, chi decade fisicamente e mentalmente, mentre il fattore si arrampica con spregiudicatezza sulla scala sociale mettendo da parte le proprie idee socialiste. Il tutto è raccontato in flashback e racchiuso da un inizio e una fine ambientati più o meno all’epoca del film (che quindi supera i limiti cronologici del romanzo di Panzini, del 1922). La conclusione elegiaca è la cosa migliore: le generazioni si succedono, gli sforzi umani non approdano a nulla, i bambini che ora giocano diventeranno adulti disillusi e vecchi inaciditi. L’esordio di Brusati anticipa già le caratteristiche del suo cinema: sommesso, dolente, malinconico.
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