Regia di Franco Brusati vedi scheda film
Brusati, più noto come sceneggiatore, ha anche diretto una manciata di film fra i quali il più noto è senz'altro Pane e cioccolata (1974); vent'anni prima esordiva con la trasposizione - fedele e lineare - del romanzo Il padrone sono me, di Alfredo Panzini, con una sceneggiatura scritta da Brusati stesso. Una storia passata (ambientata ai primi del Novecento), ma il cui valore etico passato non è: anzi, la recente ricostruzione seguita al secondo conflitto mondiale ha contribuito di certo a livellare le differenze sociali in Italia, ma - così come accade fra i due protagonisti di questo film - sono i pregiudizi di fondo a non scomparire mai completamente. La denuncia ha comunque uno spazio relativo nell'opera di Panzini, che si sofferma più che altro a descrivere un ambiente ricco di fascino e di contraddizioni come è quello di una villa abitata da una famiglia ricca, ma destinata alla decadenza, e da una povera nel cui futuro c'è la proprietà della villa stessa. Ma solo dopo sofferenze e delusioni. Nel cast Paolo Stoppa, Andreina Pagnani e Leopoldo Trieste (in un ruolo marginale) costituiscono i nomi più importanti, mentre i ruoli centrali sono affidati a Pierre Bertin e Albino Cocco; la produzione Rizzoli garantisce inoltre un discreto cast tecnico, con fotografia di Philippe Agostini, musiche di Roman Vlad, montaggio di Otello Colangeli, costumi di Piero Tosi. 6/10.
In una villa di campagna, il figlio del padrone e il figlio del fattore crescono insieme. Le differenze sociali sono evidenti, ma fra i due l'amicizia è vera; l'arrivo della cuginetta Dolly fa perdere la testa al primo, che nel corso degli anni se ne innamora, ricambiato solo in parte. E intanto arriva la prima guerra mondiale e i due ragazzi devono partire per il fronte.
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