Regia di Benjamin Caron vedi scheda film
Con la truffa pronta a sbucare da dietro l’angolo, a manifestarsi quando meno te l’aspetti, è sempre più difficile riporre fiducia nel prossimo. A tutti gli effetti, nessuno può sentirsi al sicuro, gli avvoltoi sono dappertutto, si aggirano indisturbati e sanno come/quando agire/intervenire, quali corde toccare per circuire la vittima designata e portare l’acqua al proprio mulino, non si fanno scrupoli, hanno in testa unicamente l’obiettivo finale, da acciuffare ricorrendo a qualunque stratagemma.
In Sharper, il raggiro è servito su un piatto d’argento. Cambia pelle, nel segno dei detti chi la fa l’aspetti e il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, si avvale di una struttura volutamente articolata e levigata, di punti di forza tramite i quali riesce ad arrivare al traguardo nonostante non sia affatto esente da vizi di forma, di passaggi a vuoto che, volendo fare le pulci, lasciano il fianco scoperto.
Reduce da un brutto periodo, Tom (Justice Smith – Raccontami di un giorno perfetto, Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri) s’innamora di Sandra (Briana Middleton – Il bar delle grandi speranze), una ragazza conosciuta nella sua libreria. Nel giro di poco tempo, scoprirà che il loro incontro non è stato casuale.
Max (Sebastian Stan – Captain America: The winter soldier, Tonya) è un abile truffatore, alla costante ricerca di nuove vittime così come di partner con cui collaborare.
Madeline (Julianne Moore – America oggi, Still Alice), una donna senza apparente passato, ha conquistato il cuore di Richard Hobbes (John Lithgow – L’alba del pianeta delle scimmie, The old man), un anziano miliardario afflitto da gravi problemi di salute.
Le strade di tutti questi personaggi sono tra loro strettamente interconnesse, destinate a intersecarsi più volte, per giunta sotto diverse spoglie.
Sharper è un thriller/noir caratterizzato da un’impronta fortemente contemporanea, riscontrabile sotto molteplici punti di vista, frutto di una produzione A24 e distribuita – non a caso - su Apple TV+, che segna l’esordio nel lungometraggio di Benjamin Caron, un regista con ampia esperienza televisiva (ha all’attivo undici episodi di The Crown e tre di Star Wars: Andor), che ben di presta alla ripartizione in paragrafi -assolutamente dirimente - che contraddistingue il film (in pratica, è come se fossero tanti episodi).
Dunque, l’architettura stabilita dalla sceneggiatura di Brian Gatewood e Alessandro Tanaka regola lo sviluppo, sceglie un punto di partenza, parte a ritroso e poi procede a zig zag nel corso del suo intero arco temporale, tra finte e controfinte, con aspetti – di volta in volta – da evidenziare e cose da lasciare in disparte/sospeso, in attesa di essere prelevate dal cassetto successivamente, andando a formattare e riscrivere – a ripetizione – il destino di tutti i suoi protagonisti.
Una costruzione a incastri, tutto sommato funzionante e funzionale, in alcuni casi anche molto efficace, in altri destinata a sollevare perplessità, con un’invitante corrente di spunto e una parte finale più spregiudicata e traballante.
Contestualmente, Sharper pone in rilievo debolezze, fallimenti e insoddisfazioni tipicamente odierne, dipinge una realtà amara, una giungla dove gli agguati possono capitare a chiunque, ricorda come l’apparenza non vada di pari passo con la sostanza e che quindi possa trarre in inganno, ricorre alle fatali regole dell’attrazione, dispone guasti endemici, perlopiù allacciati all’avidità.
Inoltre, la messa in scena è compatta e composta, una guaina di pregevole fattura settata sulla fotografia dell’affermata e stimata Charlotte Bruus Christensen (Il sospetto, Molly’s game), mentre l’accompagnamento musicale impartito da Clint Mansell (Moon, Il cigno nero) rimarca con efficacia il mood dei diversi settori.
Infine, considerando che la recitazione agisce su griglie plurime e mutevoli, che a ogni giro di giostra le richieste sono – anche completamente - diverse, il cast assortito e poliedrico assicura manforte. Ovviamente, com’è lecito aspettarsi, svetta l’incomparabile intensità di Julianne Moore, Briana Middleton e Justice Smith si fanno valere, mentre Sebastian Stan è una nota lieta.
Nel complesso, Sharper rimane parzialmente incagliato di un’equazione riveduta e corretta, un’orditura che rischia di perdersi nei suoi stessi coup de théâtre, acuti non sempre indimenticabili. Una ruota che gira incessantemente senza cristallizzare alcuna posizione, una staffetta che trasla da una scatola all’altra, che impila, rettifica e ratifica, con il petto in fuori e una dialettica spigliata.
Tra arrivismo e individualismi spinti, divisorie comprensibili e concatenazioni prescelte, spallate e capovolte, fattori trainanti e plot twist, facciate rassicuranti e intenzioni bellicose, accordi da riscrivere e segnali di fumo, parentesi aperte e contropiedi, fatti e moventi, forza di persuasione e fregature camuffate ad arte.
Lesto e inamidato, audace e cumulativo.
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