Regia di Fritz Lang vedi scheda film
L'ossessione criminale e l'indagine psicologica sono il fulcro di questo film del periodo americano di Lang; se la prima componente è uno dei capisaldi del suo cinema, la seconda giunge un po' inaspettata e viene francamente travisata se non addirittura trattata in più momenti con grossolana imprecisione. Dietro la porta chiusa può rappresentare un ottimo esempio di come forma e sostanza non sempre si riescano ad amalgamare in maniera perfetta, e in particolare di come la forma senza sostanza possa davvero poco. Perchè la resa estetica della regia, della fotografia (di Stanley Cortez, già due nomination agli Oscar negli anni immediatamente precedenti), dell'interpretazione di Joan Bennet e Michael Redgrave è impeccabile, ma a conti fatti la pellicola è solamente un tentativo malriuscito di approfondire la psiche deviata di un uomo (solo potenzialmente?) malvagio, argomento che non sorprende alla luce dell'epoca storica in cui il film esce, e cioè a seconda guerra mondiale appena conclusa. Dietro la porta chiusa è in sostanza tutto tranne che una visione difficile, non utilizzando concetti particolarmente raffinati o spigolosi (ciò che dovrebbe essere il fine dell'opera), e inoltre trovando un riuscitissimo espediente (ovverosia, invece, il mezzo) nel virtuoso stratagemma narrativo del commento parlato in prima persona da parte della protagonista. Curiosità: può fare sorridere la traduzione dei nomi dei protagonisti da Celia in Cecilia e da Mark in Marco, piuttosto fuoriluogo in una storia dall'ambientazione incontrovertibilmente americana. 6/10.
Cecilia ha un marito tormentato, Marco. L'uomo nasconde un bizzarro segreto: ha disposto alcune stanze della loro villa in modo che ricordino le stanze in cui sono avvenuti famosi omicidii. E c'è una stanza perennemente chiusa, alla quale Cecilia tenta invano di accedere.
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