Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Asteroid City è una cittadina isolata nel deserto. Si chiama così perché, tempo prima, un asteroide ha colpito il suolo e ha causato un cratere che è l’attrazione, l’unica, del posto; attorno ad essa hanno creato un micro-business di cui fa parte anche lo Junior Stargazer, una convention annuale di astronomia che riunisce studenti che arrivano da ogni parte del paese, insieme ai loro genitori, per sfidarsi in competizioni e anche per godersi una vacanza educativa.
Al centro di tutto c’è sempre e solo la fantasia, incommensurabile, di Wes Anderson. Ma, assistendo inerme e annoiata alla visione di questa sua ultima opera, viene da chiedersi: avevamo davvero bisogno di questo film? In questo enorme calderone di attori e attrici, colori, fatti e situazioni, lo spettatore finisce per sentirsi schiacciato da un marasma di cose razionalmente senza senso.
L’unico diletto, che coinvolge lo spettatore nella visione di questa pellicola, è l’osservare e il ricercare, nelle inquadrature che si susseguono, la meticolosa ossessione del regista per le inquadrature simmetriche prima e per i colori poi; due caratteristiche piacevoli che fortunatamente non mancano neanche qui.
Oltre a questo però e al riconoscere gli attori, dietro il trucco e il parrucco che li caratterizza, non c’è altro. Mai come stavolta Wes Anderson esagera. Si perde nella ricerca dell’effetto sorpresa e perdere il filo del discorso. Crea storie che non hanno senso di esistere ed estremizza personaggi oltre il limite di sopportazione. La delusione maggiore deriva proprio da questo, dall’irritazione che da un certo momento in poi la visione provoca, sperando che finisca il prima possibile, cosa mai accadutami prima per una pellicola diretta da Anderson, anzi.
Ci sono anche delle cose che fanno sorridere bonariamente. Alcune sequenza funzionano bene, vuoi per la bravura degli attori, vuoi per la sceneggiatura che in quel preciso momento sembra filare liscia, ma il coinvolgimento avviene, anche se solo momentaneamente, e si crea quell’alchimia che solo i film di Wes Anderson sanno creare. Ma, dopo il magic moment, l’assuefazione torna a farla da padrona e si torna in quello stato catatonico che purtroppo prevale per quasi la maggior parte della durata. Peccato davvero.
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