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Gli spiriti dell'isola - The Banshees of Inisherin

Regia di Martin McDonagh vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gli spiriti dell'isola - The Banshees of Inisherin

di laulilla
8 stelle

Dell’isola di Inisherin nulla sappiamo, poiché non esiste! Qui è l’ambiente in cui vivono i protagonisti dell’ultimo film di Martin Mc Donagh, il geniale regista di poche opere per il grande schermo, fra cui “Tre Manifesti a Ebbing”, e “In Bruges – La coscienza dell’assassino” che dal 2008 lo rese noto al mondo dei cinefili.

Inisherin è il nome immaginario di una delle isole Aran  (Inishmore è il reale e bellissimo sfondo del film), ovvero dell’arcipelago poco abitato di fronte alla baia di Galway, la città dell’Eire nord occidentale  che – in un museo di fotografie e testimonianze – conserva le memorie storiche irlandesi più dolorose: i documenti della povertà che aveva costretto all’emigrazione un gran numero di autoctoni durante e dopo la guerra civile del 1923, allorché molti si erano diretti verso gli Stati Uniti, alcuni verso la Gran Bretagna, altri, in fuga dalla guerra, si erano uniti alle piccole comunità di chi abitava le Aran da generazioni, vivendo delle poche risorse locali, principalmente del pesce, nonché dei prodotti della terra e della pastorizia.

 

Nel 1923 a Inisherin, vive il mandriano Padraic (Colin Farrell), che, lontano dagli orrori della guerra civile, condivide con l’amico Colm (Brendan Gleeson), con la sorella Siobhan (Kerry Condon), oltre che con Dominic (Barry Keoghan), il figlio del poliziotto locale, la vita ripetitiva  e noiosa di un luogo senza storia, dove tutti si conoscono, dal prete, al padrone del pub, alla bottegaia; dagli animali da lavoro, a quelli da compagnia…

Le abitudini ricorrenti confermano le sicurezze di ciascuno, anche se ogni tanto sembra materializzarsi una vecchia misteriosa – forse una strega – messaggera di morte, come si addice ai fantasmi che popolano l’immaginario delle genti sull’isola: presenze che evocano sinistre superstizioni, forme di radicate e inestirpabili convinzioni popolari, come se la morte venisse da fuori, e non fosse già presente nei cuori solitari di quei pochi abitanti…

 

Un braccio di mare divide Inisherin dai luoghi della guerra civile, di cui arrivano gli echi lontani, e, di notte, i colori arrossati degli incendi: Padraic, Colm, come il gestore del pub che mesce per loro ogni giorno la birra scura, si compiacciono di starsene al sicuro defilati quanto basta per non rischiare la pelle. Forse si annoiano un po’…

In realtà a Inisherin ognuno coltiva in orgogliosa solitudine i propri sogni velleitari. Colm, che suona le ballate del folklore locale con un violino insieme ad altri menestrelli, crede di non annoiarsi affatto, così come non sembra annoiarsi Siobhan, che, quando è a casa, legge e si lascia trasportare nel mondo bellissimo dei sogni poetici evocato dalle sue letture, ciò che, però,  non è ritenuto interessante da Padraic, ai cui sogni bastano la dose giornaliera della solita birra scura e l’affettuosa accoglienza dell’adorata asinella che lo accoglie festosamente a ogni rientro.

 

 

 

 

 

 

La vita dei personaggi sembra aver trovato l’equilibrio necessario per attutire le immancabili tensioni (specchio delle grandi tensioni sociali e politiche della guerra) che tuttavia si manifesteranno, all’improvviso – e lo vediamo nelle prime scene del film – quando Colm decide di non rispondere alla chiamata di Padraic  e di non unirsi più a lui per il solito brindisi al pub, senza spiegargli perché.


Gli dirà, in seguito, che il senso della vita, per lui non è nella rassicurante ripetitività delle abitudini, ma nel piacere di scrivere e poetare per incrementare,  con le sue composizioni, i bellissimi canti della tradizione, adeguando le parole e la musica al mutare dei tempi.


Alle sue spiegazioni, che non chiariscono molto, Colm farà seguire oscure minacce di gesti gravissimi, che attuerà, ciò che alimenta la tensione crescente del film, fino alla sua conclusione, un po’ nera e un po’ ironica, a conferma dell’innata follia che Colm condivide con tutti gli abitanti di Insherin (e di tutti gli uomini di cui diventano l’evidente metonimia), che volutamente e stoltamente evitano di pensare alla morte, sedotti dall’individualismo più insensato, foriero di dolore e di lutti…

 

Il film è magnifico, sia per la bellezza delle immagini, sia per la bellisssima interpretazione di tutti gli attori e principalmente di di Colin Farrell e del grandissimo Brendamn Gleeson, entrambi candidati all’Oscar, sia per la forza graffiante dell’humor nero che il regista esprime nel film, trasponendo sullo schermo la sua “Trilogia delle isole Aran”, scritta per il teatro.

Amerà molto questo film chi ne saprà cogliere – oltre alla “cattiveria” ironica – la malinconica disperazione che nel 1923, come oggi, coglie tutti gli uomini di buona volontà che privilegiano la fiducia nella ragione dell’uomo, pensando che sia possibile servirsene prima che sia troppo tardi.

 

 

No man is an island entire of itself; every man
is a piece of the continent, a part of the main;
if a clod be washed away by the sea, Europe

is the less, as well as if a promontory were, as
well as any manner of thy friends or of thine
own were; any man’s death diminishes me,
because I am involved in mankind.
And therefore never send to know for whom
the bell tolls; it tolls for thee.

John Donne, 1624
MEDITATION XVII



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