Regia di François Ozon vedi scheda film
Venticinque anni di matrimonio, coppia borghese, sguardi intensi, poche parole (ormai). Una vacanza nelle Lande, la spartana casa di campagna, che non ha bisogno di niente, se non delle loro, silenziosissime, presenze. Poi, sulla spiaggia, l’imponderabile: lui sparisce, forse inghiottito dal mare, forse svanito in un cercato anonimato, forse suicida come Bruce Dern nel finale di “Tornando a casa”. È rimasta lei, incredula, sotto shock, che torna a Parigi e continua come niente fosse, chiama il suo Jean, ci parla a colazione, si fa toccare in impossibili sogni erotici, lo evoca davanti agli amici. Ma Jean si è suicidato davvero, e Marie deve cominciare a fare i conti con la realtà. Se la programmaticità autoriale non consente, all’inizio, un vero coinvolgimento, niente paura: mano a mano che l’elaborazione di Marie incrocia l’interpretazione di Charlotte (Rampling), l’opera di Ozon decolla, lo spirito ritorna carne, la vita sovrasta l’incombente alone mortale. Uno stile secco, essenziale, ellittico (il passaggio dalle Lande a Parigi è un colpo di regia vera). Non c’è, in realtà, molto da dire e da capire: tutto è concentrato nel rimosso (prima) e nella catarsi finale (dopo), quando il fantasma di un Bruno Cremer perfetto evapora per lasciare la sua Charlotte libera persino di odiarlo. Luci color sabbia avvolgono personaggi e cose. Un film consapevole, bello, che ha già sofferto.
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