Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Amore e morte, temi classici del teatro e della letteratura, vengono in questo film accostati nel segno del tempo: solo l'eternità può misurare entrambi, se sono veri. Perchè Simon è già morto in precedenza: ma solo apparentemente, e infatti la sua vita con Elisabeth è pronta a continuare - nel più puro amore - come nulla fosse successo; così come il suo primo amore (Judith), nonostante la promessa di un patto suicida, non era vero: e infatti non si concluse nella morte. Sempre cervellotico, ma questa volta meno del solito, Resnais mette in scena un film scarno, poco più che teatrale nelle scenografie, lineare nella narrazione ma comunque colmo di insidie, sia nei dialoghi che nelle scene. Che il regista abbia voglia di cambiare, paradossalmente, lo si avverte dalle numerose conferme fra i collaboratori: abituato a rivoluzionare il cast di film in film, questa volta punta sullo stesso sceneggiatore dei due precedenti lavori (Mon oncle d'Amerique e La vita è un romanzo), Jean Gruault, e su un quartetto di protagonisti tratto proprio da La vita è un romanzo: Ardant/Dussollier/Azema/Arditi; nel successivo Melò saranno riconfermati tre su quattro (mancherà solo Dussollier) ed ancora nel seguente Smoking/No smoking Resnais poggerà tutto il peso del film sulle ormai solidissime spalle del duo Azema-Arditi. Si nota quindi qualche variazione nell'approccio alla creazione, è vero, ma anche la solita, tanta voglia di sperimentazione: a cominciare dalle musiche di Hans Werner Henze, classicheggianti ma sbilenche, evocative di un malessere interiore che viene pian piano divorando Elisabeth; e va inoltre citata la lunga serie di fotogrammi completamente neri inseriti fra una scena e l'altra (una cinquantina circa di sequenze, per una durata che oscilla fra i pochi secondi ed oltre il minuto), elemento inizialmente disturbante, ma che, come tutti i tocchi 'alla Resnais' assume presto una propria dimensione all'interno dell'opera: questo è l'autore, prendere o lasciare. Alla domanda sul motivo di tali inserti neri il regista non ha mai saputo dare una spiegazione razionale, limitandosi a specificare che la nevicata che compare qua e là nel corso dei 'neri' è un espediente necessario a rassicurare il pubblico: la pellicola è a posto, non scappate dal cinema. L'amour à mort è un film semplice nella sua struttura, ma ricco di contenuti e di suggerimenti che sfociano in una serie di apparenti contrapposizioni mirate in realtà ad evidenziare l'unione, la compatibilità fra elementi opposti come - appunto - amore e morte, ma anche religione e scienza (una biologa ed un archeologo si incontrano e scontrano con una coppia di pastori), fede e laicità ("Non sono credente. La mia unica religione è Simon", dice Elisabeth), amore per la vita e ricerca della morte (Elisabeth dichiara espressamente di non volere la morte per sè, ma solo per ricongiungersi al caro Simon). Gruault non era nuovo a collaborazioni con la cosiddetta Nouvelle vague: aveva infatti già scritto per Godard (Les carabiniers), Rivette (Pairs nous appartient), Truffaut (Jules e Jim, ma soprattutto Adele H. e La camera verde, un'altra accoppiata di storie in cui amore e morte si mescolano in maniera morbosa). Un film girato ad un anno di distanza dal precedente è una novità per Resnais: ma ben vengano sempre - soprattutto nel caso di questo grande cineasta - le novità. 7/10.
Elisabeth, biologa non credente, perde l'amato marito Simon ancora giovane; l'unico modo per ricongiungersi a lui è il suicidio. Invano due amici pastori protestanti tentano di dissuaderla.
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