Regia di Jirí Menzel vedi scheda film
"Treni strettamente sorvegliati" uscì in Cecoslovacchia nel 1966, fu presentato al Festival di Cannes l'anno successivo ed infine premiato con l'Oscar nel 1968: non male per un'opera prima. Di certo il film possedeva gli ingredienti appropriati per fare felici i comunisti, che non ne osteggiarono l'uscita, e gli americani, che lo premiarono quale miglior film straniero. Il racconto di formazione adattato dal romanzo breve dello scrittore Bohumil Hrabal affrontava l'argomento della resistenza boema nei confronti dell'odiato invasore nazista. Se c'era una cosa in comune, all'epoca, tra i due blocchi protagonisti della guerra fredda, era la spartizione dei meriti nella caduta del Terzo Reich. Ben altri problemi avrebbe affrontato in seguito Menzel con "Allodole sul filo" finito nelle maglie della censura del regime tanto da uscire in sala solo dopo la caduta del Muro di Berlino. Il suo esordio non aveva, tuttavia, i connotati per innervosire il regime ed inoltre la primavera di Praga era ancora di là dal venire. Non per questo il film di Menzel risulta innocuo perché, se è vero che fu girato qualche anno prima l'iconica data del 1968 che portò a cambiamenti sociali e culturali mai visti, è pur vero che i tempi già premevano sull'acceleratore di riforme sociali che sarebbero state chieste a gran voce negli anni a venire determinando uno stacco netto con il passato anche da un punto di vista del linguaggio cinematografico. Tutto ciò per dire che il film dimostra tutt'oggi una freschezza notevole ed ha, probabilmente, precorso i tempi trattando, insistentemente e con tanta audacia, argomenti solo sussurrati fino ad allora. Fa sorridere e sorprende sentir parlare di "ejaculatio praecox" e la scena maliziosa tra il ferroviere licenzioso e l'impiegata della stazione è ridicola e ardita, tra giochi perversi e mutandine che lasciano intravedere lo spazio di un "timbro". Il film di Menzel è quasi interamente ambientato in una stazione di periferia e ne descrive il microcosmo seguendo il giovane ed ingenuo Milos, innamorato della procace collega, il ligio capostazione, concentrato sull'agognata promozione, e il collega Hubicka che, dell'inesperto ragazzino, diventa l'educatore sentimentale. Sullo sfondo una guerra a cui nessuno sembra dare peso a cominciare dall'emissario del Reich che descrive al capostazione Prednosta, nella sequenza più esilarante, l'evolversi del conflitto con la retorica del regime, anche se le pedine che muove sulla carta geografica seguono un'inesorabile ritirata su tutti i fronti. Tutti sembrano interessati alle loro cose almeno finché i partigiani portano in stazione la notizia dell'arrivo di un treno pieno d'armi.
Al di là di quanto effettivamente raccontato, il regista cecoslovacco ha saputo rappresentare, nonostante qualche mia perplessità per la mancanza di una certa scorrevolezza, l'individualismo galoppante della società boema, l'ansia di prestazione che stava condizionando le politiche dei vari stati di ciascun blocco, intenti a primeggiare su tutti i fronti: bellico, tecnologico, sportivo, economico. Il film di Menzel è anche un divertente ritratto sociale che mostrava le prime avvisaglie di un cambiamento nei rapporti di genere ritraendo donne decisamente più audaci degli uomini e pronte a cavalcare l'onda del rinnovamento: dalla staffetta partigiana educatrice sentimentale, alla giovane e disinibita impiegata della stazione che non mostra imbarazzi di fronte alle resistenze di una società puritana e bigotta, concludendo con la giovane pretendente di Milos affatto soddisfatta del suo spasimante. Finale amaro che riporta l'analisi sociale verso i binari del cinema di guerra mentre un vento impetuoso di candido coraggio spazza via il male accettato dai più, e cerca di fecondare i cuori più disinteressati dal ciclico ripetersi della follia umana.
Raiplay
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