Regia di Ron Howard vedi scheda film
Patrimonio umano. Nonostante i segnali scoraggianti, che vedono l’umanità impegnata ad autoflagellarsi dirigendosi in un vicolo cieco senza opporre la minima resistenza, siano ormai in netta maggioranza, sussistono ancora alcune sparute circostanze che lasciano accesa la fiammella della speranza. Malgrado tutto, quando raddrizziamo le antenne e ci mettiamo d’impegno, accantoniamo le divisioni in essere e remiamo nella stessa direzione badando al sodo e al conseguimento del bene comune, siamo ancora capaci di rovesciare pronostici segnati, di compiere iniziative straordinarie, superando asperità in apparenza insormontabili.
Esattamente quanto raccontato con grande mestiere da Ron Howard in Tredici vite, un film che sintetizza e narra una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero, diventando al contempo contenitore e portatore di valori positivi più universali, che propongono, sponsorizzano e caldeggiano modi di pensare e agire che sarebbe auspicabile (ri)prendessero piede, non solo quando la tragedia parrebbe inevitabile.
Thailandia, sabato 23 giugno 2018. Dopo una partita di calcio, un gruppo di dodici ragazzini, accompagnati dal loro allenatore, decide di trascorrere alcune ore nella grotta di Tham Luang, dove vengono sorpresi da una perturbazione imprevista, che allaga rapidamente l’intera area costringendoli a ripararsi al suo interno, in un punto remoto raggiungibile esclusivamente attraversando lunghi cunicoli sommersi dall’acqua.
Nel giro di poche ore, i familiari lanciano l’allarme e le autorità locali attivano tutte le forze disponibili per recuperare i dispersi, trovando numerose manifestazioni d’aiuto anche da professionisti in arrivo da ogni parte del globo.
Tra loro, spiccano Rick Stanton (Viggo Mortensen – Green book, La promessa dell’assassino) e John Volanthen (Colin Farrell – The lobster, In Bruges), esperti in immersioni in aree anguste, che in un secondo momento verranno supportati da altri colleghi come Chris Jewell (Tom Bateman – Assassinio sul Nilo, Un uomo tranquillo), Jason Mallinson (Paul Gleeson – La sottile linea rossa) e Harry Harris (Joel Edgerton – Regali da uno sconosciuto, Loving). Quest’ultimo diventerà indispensabile quando ogni opzione di salvataggio viene definitivamente scartata per impraticabilità e Rick propone di intraprendere una strada mai provata da alcuno in precedenza.
Prodotto dalla Mgm e uscito direttamente su Amazon Prime, Tredici vite dispone nero su bianco i fatti salienti – organizzati, gestiti e moderati da William Nicholson (Il gladiatore, Les Misérables) - riguardanti quanto avvenuto in Thailandia a cavallo tra il giugno e il luglio del 2018, una disavventura che ha accompagnato, e simbolicamente riunito, le persone di ogni cultura e origine per più di due settimane, tra momenti di sconforto e altri di gioia, vittorie di tappa e il fiato sul collo della natura, che non concede deroghe.
Un Ron Howard particolarmente umile, lontano anni luce da fastidiose ridondanze (Inferno) ma anche dagli artifici che in passato gli hanno consegnato risultati brillanti (Rush), maneggia il soggetto con – anche troppa? - attenzione, privilegia il gioco di squadra (Apollo 13), premia le virtù, le competenze e le conoscenze degli uomini (A beautiful mind, Cronisti d’assalto), testimoniando una considerevole e lusinghiera comunione d’intenti.
Dunque, Tredici vite ha inevitabilmente una tabella di marcia prestabilita (in ogni caso, alcuni aneddoti vanno a rifinire, rimpolpare e arricchire quanto già conosciuto), una lotta contro il tempo per salvare vite umane che dà spazio a varie voci per quanto trattate con i guanti e senza surriscaldare alcun tono (i confronti non diventano mai scontri), opta per un risultato d’insieme pulito, oculato e contrassegnato da propositi lodevoli, tanto che il suo tridente di star, costituito da Viggo Mortensen, Colin Farrell e Joel Edgerton, si spoglia da qualsiasi forma di divismo, perseguendo pertinenza e asciuttezza con inossidabile e stimabile assiduità.
Così facendo, viene tributato il sacrosanto riconoscimento a chi ha agito da eroe con eccezionale altruismo e accreditato il merito alle specializzazioni e alle esperienze (solo chi le possiede può sbrigliare le matasse più ingarbugliate), mentre in modo intrinseco permane vigente l’avvertimento sulle conseguenze degli eventi estremi (in questo caso, l’anticipo dei monsoni), correlate da impreparazione e sottovalutazione.
In conclusione, Tredici vite ha una dorsale blindata, tra fattori predominanti e disquisizioni supplementari a corredo, che permette al versatile e navigato Ron Howard (Cuori ribelli, Fuoco assassino) di operare con facilità e destrezza, sapendo dove mettere le mani (non come in Solo: A Star wars story quando dovette tamponare per salvare la baracca). Lascia una traccia mantenendo un basso profilo e nervi saldi, porta fieno in cascina senza avere nemmeno il bisogno di stupire, ondeggia tra la ragione (il realismo che suggerisce di non fornire facili illusioni, il prezzo comunque da pagare) e il sentimento (la fame di buone notizie, la forza che ti permette di bypassare ostacoli altrimenti insuperabili), umori estremamente variabili che garantiscono un palpabile impatto emotivo.
Tra dedizione e resilienza, fasi di calma e altre di impazienza, mappatura principale e retroscena, interventi e intoppi, gratitudine e contrappassi, tornanti stretti e rettilinei, un generale principio di collaborazione e un calzante senso della misura.
Comprensivo, rinfrancante e funzionale.
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